Poche cose avvicinano l’anima al paradiso come il cinema di una mente profonda. Il 12 dicembre del 1903 nasceva Yasujirō Ozu, il suo modo di raccontare la vita è rimasto unico. Ha saputo parlare di sentimenti con una grazia profonda e usando quella maestria, di pochi, in grado di migliorare la giornata di chiunque. Un artista avvezzo a temi semplici in cui identificarsi rimane un istinto naturale. Qualche anno fa dei pionieri (la Tucker) avevano selezionato cinque film del maestro provando a proporli alle sale nel ventunesimo secolo, i risultati furono impressionanti.
Ozu compirebbe 117 anni e mai come in questo 2021 un suo film sarebbe necessario. In Italia è arrivata la minor parte del suo lavoro, spesso passando in circuiti minori o nelle sale durante i mesi estivi, ma una quantità di pellicole sufficienti a nutrire lo spirito è disponibile. I soggetti sono storie di vita in un Giappone post bellico impegnato a riflettere su se stesso. Vite di persone comuni dotate di una malinconia rasserenate, sono i film di Ozu, pieni d’individui con forza di cambiare una tradizione senza distruggere ma inventando.
Il gusto del sake 1961
Ex dirigente d’azienda vedovo passa la quiete della sua vecchiaia in compagnia della figlia maggiore e del figlio maschio più piccolo. La casa va avanti con dei ritmi dettati soprattutto dalla donna, in grado di garantire al genitore una serenità nelle piccole cose. L’uomo , dopo una serata di bagordi con gli amici, si rende conto di chiedere troppo alla ragazza. Miciko , ormai adulta, sta sacrificando tutta la sua vita al padre e rischia di ritrovarsi sola senza poter scegliere. Shohei, sempre più allarmato, comincerà una caccia al pretendente ideale per la figlia.
Gli universi, in un Giappone che cambia, sono rappresentati dal padre illuminato che non digerisce la deriva solitaria cui sua figlia potrebbe essere condannata. Sono il passato e il futuro a emozionare in questa vicenda, due stati strettamente legati e in grado di iniettare la vita che i personaggi ricordano o aspettano. La rassegnazione alla quieta routine di Shoshei deve essere vissuta in solitudine per evitare una zona “egoismo”, spesso troppo piacevole agli umani.
Buon Giorno 1959
L’arrivo della televisione nelle case di Tokio causa un vero e proprio terremoto. Due bambini cominciano uno sciopero del silenzio per convincere il loro papà a comprare un apparecchio dove poter vedere i loro programmi preferiti. Il padre, inizialmente restio, comprerà la tele e si convincerà di quanto assomigliare agli amichetti sia un passaggio fondamentale nella crescita di ogni bambino.
Essenzialmente una commedia, il film racconta in maniera eccellente i piccoli drammi di una famiglia come tante altre. L’arrivo degli incontri di sumo o dei film western rappresenta una tappa obbligata per la seconda metà del 900 con cui anche il Giappone deve fare i conti. Il padre, agente di commercio, è cresciuto in un’altra generazione ma confrontandosi con i suoi amici capisce come sia essenziale abbracciare la novità senza per questo rinnegare le tradizioni. Alcuni processi educativi sono mutati e un genitore deve stare al passo con i tempi se vuole garantirsi l’affetto dei figli. Un inno alla serenità e un film dai toni divertenti che alterna dialoghi molto brillanti a spaccati di solidarietà umana invidiabili.
Viaggio a Tokio 1953
Due anziani si recano dalla provincia a Tokio per una visita. Arrivati nella grande città, si sentono subito intrusi, specialmente verso i loro figli che se li passano con malcelata educazione. Il capolavoro più conosciuto di Ozu è un inno all’incomunicabilità. Il linguaggio è onesto e pudico allo stesso tempo, le reazioni dei protagonisti cariche di educazione e dubbio. La famiglia è importante sulla carta, la metropoli cambia ogni individuo fino a far dimenticare completamente il senso degli affetti. Il maestro riflette sulla società giapponese nel dopoguerra e sulla corsa all’affermazione personale. A fare le spese di questo desiderio di emancipazione sono soprattutto i sentimenti che si perdono e le tradizioni vissute, dai giovani, in maniera scomoda e senza alcun reale interesse.
Tarda primavera 1949
Un uomo prossimo a diventare anziano si rende conto che la figlia, ormai grande, vive ancora con lui per accudirlo e non farlo sentire solo rinunciando però alla libertà. Decide di parlare con la ragazza che sembra non avere nessuna intenzione di sposarsi, non gli rimarrà che inscenare un finto matrimonio. Dentro a una trama del genere Ozu riesce a mettere ogni sfaccettatura dell’esistenza; dalla solitudine alla malinconia per il tempo che passa regalando allo spettatore emozioni difficilmente dimenticabili. Il film, datato 1949, rappresenta la società giapponese alla fine della guerra, un paese che esce con le ossa rotte da un periodo faticoso ed è costretto a riflettere, piangere e modernizzarsi allo stesso tempo.
La colonizzazione americana non avviene tramite le armi ma tramite i miti come Gary Cooper, la Coca Cola e il sovvertimento sistematico delle tradizioni. Nonostante questo l’affresco di personaggi presentati in Tarda primavera rappresenta perfettamente un universo in cui si potrebbe ritrovare a vivere ancora oggi, ogni tipo di reazione al destino è impossibile per vincere è necessario barare.
Girato in bianco e nero conta su una sceneggiatura perfetta e su una regia in grado di far innamorare chiunque. Il fulcro della vicenda è la ricerca di un’unione vista come cammino verso la felicità, il piacere di sfuggire alla solitudine e avere accanto qualcuno in grado di comprendere e rendere ogni giorno più vivibile nella certezza di essere parte di qualcosa.
Fiori d’equinozio 1958
Ufficiale di marina in pensione si dimostra molto intransigente con le sue due figlie. La prima è costretta a scappare da casa per vivere con suo marito, mentre alla seconda è impedito di raccogliere il corteggiamento di un pretendente. Il film ha per protagonista un uomo cresciuto con valori tradizionali che in nome di un principio rinuncia all’affetto dei suoi famigliari.
Ozu riesce a raccontare con tocco delicato anche le derive emozionali di un paese in rapido cambiamento sociale, dove “diventare vecchi” è motivo di ansia e timori. A metà tra la commedia e il dramma, la sceneggiatura dosa perfettamente i due generi dipingendo personalità chiare nella loro complessità. L’uomo troverà la ragione solo tra i suoi amici, portatori di un passato comune, che lo faranno ragionare. Tra sakè e discussioni sulla vita il padre si renderà conto del tramonto di un’epoca. Temi cari a Ozu come il disincanto positivo e la corretta emancipazione sono affrontati con la solita mano leggera e una punta d’ironia che riesce a trasmettere quella pace necessaria a qualsiasi spettatore.