Un venerdì 13 da incubo si è abbattuto su Torino, già provata da settimane di tensioni. Lo sciopero dei mezzi pubblici (GTT), indetto dal sindacato USB, e il corteo non autorizzato di collettivi studenteschi e gruppi Pro Palestina hanno messo in ginocchio la mobilità urbana, mentre il centro cittadino si è trasformato in un campo di battaglia logistico e ideologico.
La decisione del TAR del Lazio di bloccare la precettazione ministeriale ha lasciato i torinesi in balia dello sciopero di 24 ore dei mezzi pubblici. Con fasce di garanzia limitate, la GTT ha cercato di minimizzare i disagi, ma le ripercussioni sono state inevitabili. La metropolitana, i bus e i tram hanno garantito il servizio solo in orari ridotti, creando una situazione di caos per i pendolari e chi si muove abitualmente con i mezzi.
Matteo Salvini, Ministro dei Trasporti, ha criticato aspramente lo sciopero: «Stanno esagerando. Non si può paralizzare una città già colpita da troppe difficoltà». Ma alle proteste dei cittadini, il sindacato risponde con fermezza: “Le nostre richieste sono ignorate da anni. Questa è l’unica arma che abbiamo”.
In contemporanea, il corteo dei collettivi studenteschi ha gettato benzina sul fuoco. Alle 8 del mattino, Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche, si è trasformato nel punto di raccolta per centinaia di giovani determinati a bloccare la didattica. Il motivo? Le crescenti collaborazioni tra industria bellica e università, oltre alla solidarietà con la popolazione di Gaza.
“Non possiamo restare in silenzio davanti alle complicità nel genocidio a Gaza”, hanno dichiarato i portavoce, anticipando la volontà di bloccare le strade principali della città. Il corteo, partito da Palazzo Nuovo, ha attraversato piazza XVIII Dicembre e altre vie del centro storico, creando disagi non solo per gli automobilisti ma anche per gli studenti e i lavoratori già colpiti dallo sciopero dei trasporti.
Solo due settimane fa, un simile corteo si era concluso con scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, oltre al blocco dei binari della stazione di Porta Susa. Il rischio di nuove tensioni è alto. Il prefetto Donato Giovanni Cafagna ha lanciato un appello: “Invito i partecipanti a rispettare il decoro della città e la sicurezza delle forze dell’ordine”.
La riunione del Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica ha confermato un piano di intervento per minimizzare i danni, ma l’assenza di preavviso da parte dei promotori del corteo ha reso complicata la gestione delle criticità. “Non possiamo ignorare il rischio di ricadute sulla circolazione stradale e sulla rete di trasporto pubblico”, ha aggiunto il prefetto.
La manifestazione di oggi è solo l’apice di una serie di iniziative. Già ieri sera, gli studenti si erano ritrovati per una cena sociale e una serata musicale negli spazi dell’università, lanciando un segnale chiaro: la protesta non si fermerà. Le critiche al governo Meloni sulle politiche di istruzione e ricerca restano al centro delle rivendicazioni.
La città della Mole sembra essere diventata il simbolo di una nazione in crisi. Dallo sciopero dei trasporti al caos delle manifestazioni non autorizzate, Torino è intrappolata in una spirale di disagi che penalizza i suoi cittadini. Il futuro appare incerto: sarà possibile trovare un equilibrio tra il diritto di protestare e il bisogno di garantire la vivibilità urbana?
Oggi, Torino non è solo il teatro di uno sciopero e di un corteo. È l’immagine di una società che fatica a trovare risposte ai suoi conflitti interni. E mentre il traffico si ferma, le voci di protesta risuonano, lasciando un messaggio indelebile nel cuore di una città sempre più stanca.