Torniamo a parlare di violenze contro le donne. Terribili notizie di cronaca nera che non vorremmo mai sentire, ma che tuttavia denunciano una realtà ben radicata di odio e violenza, trasversale a livello economico, educativo, generazionale e di appartenenza sociale. Una donna ogni tre giorni muore e chissà quante altre, chiuse nelle mura di casa, non denunciano un marito ossessivo o un cattivo compagno. Chissà quante. Più di quelle che immaginiamo nascondono la loro soggezione di fronte alla società che condanna e poco aiuta, forse pensando così di tutelare i figli da un futuro ancora più incerto. Dal 1 gennaio al 25 giugno 2023, secondo i dati ufficiali del Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale della Polizia Criminale- Servizio Analisi Criminale, sono stati registrati 157 omicidi, con 57 vittime donne, di cui 47 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 27 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.
Da ultimo ricordiamo la fredda, lucida e brutale uccisione di Giulia Tramontano e del bambino di sette mesi che portava in grembo, nonché la morte di Pierpaola Romano per mano del collega Massimiliano Carpineti, che secondo le ipotesi degli inquirenti non accettava la fine della loro relazione e la recentissima morte di Michelle Maria Causo, una vita spezzata prematuramente.
È in atto, insomma, un cambiamento storico e culturale che richiede interventi soprattutto nei contesti familiari, a partire dalla tenerissima età.
Chiediamo un commento alla Dottoressa Caterina Signa, Psicoterapeuta, PhD Neuroscienze- Psichiatria, che si è occupata in molte occasioni di queste tematiche.
D: Dott.ssa Signa, i fatti di questi giorni ci hanno riportato a leggere una cronaca errata e fuorviante, tale da diventare abuso essa stessa. Su cosa è giusto soffermarsi a livello clinico ma anche mediatico?
Credo che nella stragrande maggioranza dei casi sia fuorviante pensare che nella mente degli assassini accada qualcosa di repentino, il processo è già in corso e il soggetto non agisce per un unico impulso isolato. La cultura mediatica utilizza spesso il termine “raptus”, l’amore passionale, l’amore malato, il tragico incidente quasi ad intendere una perdita di controllo simile ad un interruttore, che ottenebra le capacità di giudizio e porta a commettere atti violenti senza che l’autore di reato se ne renda conto. Se questo termine può essere utile a catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica o, peggio, a mettere in piedi tentativi di giustificazione o attenuazione rispetto agli agiti degli assassini in sede processuale, di fatto non corrisponde ad alcuna definizione psicologica/psichiatrica scientificamente valida. La maggior parte degli omicidi richiede volontarietà, quindi una certa pianificazione ed i comportamenti violenti sono generalmente molto più subdoli, reiterati nel tempo.
L’evento fatale spesso costituisce la punta dell’iceberg di una serie di episodi e segnali spalmati nel tempo, frutto di una subcultura, purtroppo diffusa se non addirittura promossa, secondo la quale chi è più “muscolare” è più forte, va rispettato.
Il tema è sicuramente molto complesso. Se da un lato povertà emotiva, tendenza a manipolare, assenza di senso di colpa, affettività superficiale, sono tipiche del disturbo di personalità antisociale, va detto che molti assassini sono l’espressione non tanto di una categoria nosografica ma di una diseducazione sprezzante rispetto al valore della vita, che non si interroga, in cui mancano attribuzioni di senso. Il fatto che negli ultimi fatti di cronaca l’età di vittime e assassini sia molto bassa (Michelle Maria Caruso aveva diciassette anni) dovrebbe farci molto riflettere su questi temi.
D: L’estate, il caldo, la stagione che stiamo vivendo fare banalmente da sfondo a gesti così efferati?
L’Università di Berkeley in California ha realizzato uno studio sugli effetti collaterali dei cambiamenti climatici nel quale si ipotizza che l’aumento globale delle temperature provocherà, a lungo andare, un incremento del tasso di violenza; gli scienziati americani prevedono addirittura che due gradi centigradi in più potranno corrispondere ad un incremento del 15% del tasso di criminalità. Si tratta comunque di ipotesi e, credo, di una semplificazione. L’animo umano è complesso ed eventi di questo tipo dovrebbero indurci a riflettere proprio sulla complessità dei fattori in gioco piuttosto che trovare corrispondenze spicciole.
Di certo chi commette violenza è una persona che ha perso il contatto con la realtà al punto di non mettere in conto le conseguenze delle proprie azioni. Necessario è dunque puntare sulla prevenzione. Dall’ammonimento ai braccialetti elettronici oggi il governo punta più che mai al contrasto alla violenza sulle donne a quella domestica, rendendo più severe le misure contenute nel Codice Rosso del 2019.
Strumenti per controllare la posizione di un soggetto anche a distanza, come ad esempio i braccialetti elettronici, possono essere sicuramente utili nel qui e ora ma per forza di cose vengono introdotti a reati avvenuti e molto spesso i tempi di reazione non riescono ad evitare eventi tragici. Accanto a queste misure ritengo debba essere svolto un lavoro capillare di prevenzione e informazione, rivolto soprattutto ai più giovani, un lavoro che richiede tempo e che “insegni a pensare”, a “tirare il freno a mano” per promuovere un sano senso critico anziché sterili polemiche e, soprattutto, umanità. Oggi è facile, come si è letto a seguito dell’omicidio di Giulia Tramontano, cavalcare l’onda emotiva e lo sdegno per il fatto in sé ma serve affrontare il fenomeno alla radice, mettendo in atto un cambiamento culturale a partire dalle scuole inferiori quando si forma il senso civico e si stabiliscono le regole della convivenza rispettosa e tollerante.
Oggi ci sono tante modalità di prevenzione e sostegno per le vittime di violenza, una rete di protezione attivabile a tutela di chi ha bisogno. Al di là dei Protocolli in essere che incidono pesantemente sulla prevenzione, è attiva oggi anche un app YOUpol che consente no solo alle vittime di comportamenti violenti ma a chiunque ne sia a conoscenza di attivare la Polizia di Stato. Quanto è importante l’informazione?
L’informazione in questo ambito è fondamentale. Molto spesso anche noi addetti ai lavori diamo per scontato che certe informazioni ormai siano in possesso di tutti ma non è così. C’è ancora un importante muro di non conoscenza, di paura, di sottomissione che solo la reiterazione di informazioni può scalfire. Occorre insistere, anche sull’offerta di aiuto data dai Centri di ascolto e dai Centri Antiviolenza quanto sull’attivazione dei servizi offerti dalle forze dell’ordine come detto prima. Bisogna fare rete attraverso la denuncia da parte delle vittime e l’attenzione degli operatori culturali ogni giorno, a partire dai microsegnali di devianza.
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