È un fatto: leggiamo ovunque e quotidianamente, anche su riviste e quotidiani nazionali, sempre la solita notizia: scienziate, ricercatrici, giornaliste, atlete, diventano “madri”, “sorelle”, “ragazze”, “il team rosa”, “signore”, “mamme atlete”. Persone che apparentemente non hanno diritto a veder riconosciuta la portata dei loro risultati, delle loro nomine, che viene sminuita e riportata esclusivamente al loro genere.
Una donna senza nome
Sono vincitrici di premi nobel, atlete, scrittrici, ma vengono definite esclusivamente in quanto donne, madri, e se sono fortunate vengono chiamate per nome (e mai per cognome).
Come scrive Corinna De Cesare, giornalista del Corriere e fondatrice di The Period: “Paul Milgrom e Robert Wilson hanno vinto il Nobel per l’Economia. Attenzione: non due uomini, ma Paul Milgrom e Robert Wilson, nome e cognome. E, incredibilmente, non sappiamo quanti figli abbiano […] e non sappiamo neanche (ohibò) come sono riusciti a conciliare i primi anni di paternità con i loro mille impegni di lavoro.”
Non hanno avuto la stessa fortuna Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna, Nobel per la Chimica, definite le donne del “taglia e incolla”. Continua De Cesare “Una vita passata a studiare l’informazione genetica […] e poi arriva un coglione qualunque dietro uno schermo di un computer che ti trasforma in una signorina taglia e cuci.”
Michela Murgia, che ha avuto il merito di riportare prepotentemente alla ribalta la questione in queste settimane, parla di questa fantomatica “Una donna”, che fa tantissime cose, ma non ha identità. Una donna è diventata direttrice del New York Times, una donna ha vinto il premio Strega, una donna è stata nominata ministra.
E ribadisce che “Se il tuo sesso conta più di te, è sessismo. Se cancelli il nome della persona, trasformi il suo sesso nell’unica notizia”.
Una Donna che fa Cose
Donne senza nome, senza volto, ma il fatto stesso che si tratti di donne sembra avere più rilevanza di qualsiasi traguardo raggiunto o della loro stessa identità. Sono lì perché sono donne. Come se il fatto stesso di essere donna sia l’unico meritevole di menzione, l’unico per il quale sono state scelte, hanno raggiunto un traguardo, vinto un premio.
L’elenco è lunghissimo, e si aggiorna quotidianamente: “Una donna alla guida dell’azienda X”, “Una donna vince il premio Y”, “Una donna viene nominata al ruolo Z”.
Si potrebbe obiettare che il ricorrere all’uso della locuzione “una donna” intenda sottolineare che è la prima volta che qualcuno di sesso femminile occupa una posizione. Crediamo però che sia giunto (da tempo) il momento di normalizzare questi fatti, smettendo di presentare come novità o conquista il fatto che le donne, al pari degli uomini, possano accedere a determinate posizioni/professioni/premi. Non può essere una costante eccezione, deve diventare la norma, e non fare più notizia.
La Donna a Caso
Dobbiamo ricordarci sempre che le donne ha un nome e un cognome, un’identità, una professione, un’unicità. Una donna non vale l’altra, non siamo un unicum da cui ogni tanto viene estratta una rappresentante.
Come spiega Giulia Blasi, “Una donna a caso, infilata a forza fra maschi di valore. Succede sempre così quando si parla di nomine, ci potrebbe essere una donna. Chi? Non si sa. La Donna a Caso è simbolica, rituale, viene invocata quasi in maniera scaramantica. Una donna, finalmente! Quale, non importa, tanto è pura formalità.”