“Il fondo del barile è ormai visibile”, così si è espresso l’ammiraglio Rob Bauer – alto funzionario NATO – in merito alla fornitura di proiettili di artiglieria all’Ucraina, che ormai scarseggia. Bauer ha quindi precisato: “Abbiamo iniziato a donare (i nostri sistemi d’arma) prelevandoli da magazzini in Europa che non erano pieni, ma mezzi pieni o anche meno. E quindi il fondo del barile è ormai visibile e abbiamo bisogno che l’industria aumenti la produzione ad un ritmo più elevato. Abbiamo bisogno di grandi volumi”. Dall’altro lato dell’Atlantico, le dichiarazioni del sottosegretario alla difesa americano, Michael McCord, riecheggiano lo stesso allarme: “L’incapacità di garantire approvvigionamenti e consegne tempestive potrebbe minare le operazioni essenziali dell’Ucraina per riconquistare ulteriore territorio o difendersi da potenziali future offensive russe”.
Appare evidente come gli arsenali dei Paesi che sostengono l’Ucraina non fossero preparati a sostenere una guerra campale tra grandi eserciti. In qualche modo l’occidente non si aspettava una guerra “classica” come quella che stiamo osservando ed ora il nodo degli approvvigionamenti è arrivato al pettine. Non è solo un problema di stoccaggio nei magazzini, per certi tipi di armamento mancano addirittura le linee di produzione.
L’Ucraina reagisce a questa difficoltà cercando di stabilite partnership industriali che portino alla produzione sul proprio territorio delle armi di cui necessita. A questo progetto hanno per ora dato la loro adesione alcune importanti industrie degli armamenti: la Rheinmetall tedesca e la BAE inglese sono intenzionate ad avviare co-produzioni di armamenti sul suolo ucraino. Questo soddisferebbe inoltre il bisogno che ha Kyiv di appoggiarsi a sistemi d’arma standardizzati; l’Esercito Ucraino non può andare avanti con il caravanserraglio di armamenti di ogni tipo che i Paesi alleati hanno fornito fino ad ora, tutto ciò crea problemi di manutenzione e di apprendimento all’uso di non piccolo conto.
Dopo il ritiro della Russia dall’accordo che permetteva l’esportazione del grano ucraino attraverso un corridoio sicuro nel Mar Nero, Kyiv ha organizzato unilateralmente un corridoio di navigazione, sfidando in questo modo le minacce russe di affondare d’ora in poi le navi cargo ucraine che tenteranno di esportare cereali attraverso il Bosforo. Fin qui il corridoio di navigazione ucraino ha funzionato: già dieci navi cariche di grano hanno raggiunto indenni il porto di Istanbul. Un rapporto di Bloomberg, riferisce che le compagnie assicurative internazionali hanno nuovamente ripreso a coprire i rischi assicurativi per questi carichi. L’impunità di cui per ora godono le navi cargo è probabilmente legato ad un mix determinato sia dall’indebolimento della Flotta Russa del Mar Nero, dopo i colpi subiti negli ultimi tempi, che da un certo timore del Cremlino ad affondare una nave civile condotta da un equipaggio civile. Per il momento.
Peraltro l’Ucraina ed alcuni Paesi alleati si sono attivati per trovare nuove rotte che garantiscano la futura esportazione dei prodotti agricoli di Kyiv. E’ stato istituito un corridoio terrestre attraverso la Lituania che raggiungerà i porti del Mar Baltico dai quali le merci procederanno successivamente via nave. Un uguale progetto vede la Grecia disponibile a far partire le esportazioni ucraine dal porto di Salonicco dopo un viaggio terrestre attraverso la Bulgaria.
Autoproduzione di armi, riorganizzazione delle esportazioni agricole, in una fase in cui emergono dubbi sulle future volontà europee e statunitensi di appoggiare Kyiv con la stessa intensità finora dimostrata, l’Ucraina cerca di auto-organizzarsi per un confronto con Mosca che si prevede di lunga durata. Viene spontaneo pensare ad un parallelismo; si apre la possibilità che, in l’Europa, l’Ucraina tracci in futuro una dinamica simile a quella che storicamente ha avuto Israele in Medio-oriente.
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