Le recenti dichiarazioni di Donald Trump sembrano provenire più da un romanzo distopico che da una conferenza stampa ufficiale. Tra progetti imperialisti, provocazioni geopolitiche e richieste economiche inverosimili, l’ex presidente statunitense si erge a simbolo di una visione politica che abbandona ogni parvenza di solidarietà internazionale per trasformarsi in un’aggressiva corsa all’espansione del potere americano.
Tra le perle più sconcertanti spicca l’annuncio di voler ribattezzare il Golfo del Messico come “Golfo d’America”. Una trovata che ha scatenato l’ironia della presidente messicana Claudia Sheinbaum, la quale, durante una conferenza stampa, ha mostrato antiche mappe seicentesche per ricordare come quel nome fosse parte integrante della storia geografica del continente. “Se è così semplice cambiare i toponimi, perché non chiamare gli Stati Uniti America Messicana? È un bel nome, no?” ha provocato la Sheinbaum, sottolineando la superficialità dell’idea trumpiana.
Trump non si ferma al revisionismo geografico. Durante la stessa conferenza, ha apertamente minacciato di usare la forza per prendere il controllo del Canale di Panama e la Groenlandia. Come se non bastasse, ha ventilato l’idea di costringere il Canada ad unirsi agli Stati Uniti, promettendo di piegare il vicino settentrionale con il peso della potenza economica americana. L’idea non è nuova, già durante la sua presidenza aveva scherzato (forse neanche troppo) sulla possibilità di acquistare la Groenlandia dalla Danimarca. Ora, però, le battute sembrano trasformarsi in un programma di governo.
Il nuovo corso trumpiano non risparmia nemmeno gli alleati storici degli Stati Uniti. Con la pretesa di portare al 5% del PIL le spese militari dei paesi NATO, Trump punta a scaricare il peso della sua politica bellicosa sui partner transatlantici. Per l’Italia, questa richiesta si tradurrebbe in una spesa militare annuale superiore ai 110 miliardi di euro, una cifra insostenibile per un paese già provato economicamente. La visita della premier Giorgia Meloni negli Stati Uniti, trattata come un incontro tra un vassallo deferente e il suo signore feudale, è un chiaro segnale del nuovo equilibrio (o squilibrio) che Trump immagina per il futuro dell’Occidente.
Queste dichiarazioni dimostrano una cosa: l’Occidente come lo conosciamo dal 1945 è finito. La solidarietà transatlantica, che aveva rappresentato il cuore della stabilità internazionale durante la Guerra Fredda e oltre, sta cedendo sotto il peso di un nazionalismo esasperato e di ambizioni personali fuori controllo. Trump, spesso descritto come isolazionista, si sta rivelando invece un imperialista aggressivo, disposto a imporre con ogni mezzo il predominio americano, anche a discapito degli alleati.
Questa frase, usata spesso con ironia, si adatta perfettamente a chi ha creduto che il sovranismo fosse la risposta ai problemi globali. Le follie di Trump dimostrano quanto pericoloso possa diventare un leader che non conosce limiti, pronto a riscrivere le regole della geopolitica a suo piacimento. È una lezione amara per tutti coloro che hanno applaudito il ritorno ai “confini chiusi” e ai “primi gli americani”. Forse, il prezzo di quella bicicletta sovranista è più alto di quanto ci si aspettasse.