Il carcere Pietro Cerulli di Trapani è al centro di un’inchiesta che ha portato all’arresto di 11 agenti di polizia penitenziaria e alla sospensione di altri 14 dal servizio. Un’indagine che, dopo tre anni di lavoro, ha fatto emergere un quadro inquietante di tortura e abusi. Un opera perpetrata ai danni di detenuti, spesso in aree del carcere volutamente prive di telecamere di sorveglianza. L’Italia affronta un nuovo scandalo che travolge il sistema carcerario italiano.
Carcere di Trapani: un silenzio rotto dopo anni di orrori
Le prime denunce risalgono al 2021, quando alcuni detenuti hanno deciso di rompere il muro del silenzio. Racconti di maltrattamenti, violenze fisiche e umiliazioni si sono rivelati un campanello d’allarme per le autorità. Denuncia che si ripetevano e che hanno avviato un’indagine culminata nell’identificazione degli agenti coinvolti grazie all’installazione di dispositivi di video sorveglianza. Le immagini registrate hanno documentato episodi di brutale abuso di potere, che secondo la Procura erano parte di un “modus operandi” sistematico e premeditato. Inoltre non venivano perpetrate solo violenze fisiche ma risulterebbero anche false relazioni di servizio, astutamente utilizzate per calunniare i detenuti e coprire gli abusi.
Il ruolo dei luoghi non sorvegliati
Un elemento centrale di questa drammatica vicenda è l’utilizzo strategico di spazi non sorvegliati all’interno del carcere, trasformati in zone di impunità dove si consumavano le violenze. Questo dettaglio mette in luce una questione cruciale: la necessità di garantire una maggiore trasparenza e controllo nelle strutture detentive. La mancanza di telecamere non è solo una falla tecnica, ma una grave omissione che può favorire abusi sistemici.
Solo con l’installazione di dispositivi di video sorveglianza non visibili, è stato possibile inchiodare gli agenti, oggi ritenuti responsabili di quanto accaduto, successivamente identificati attraverso ulteriori ricognizioni fotografiche da parte dei detenuti che li avevano denunciati.
I risultati dell’inchiesta
Un’indagine minuziosa, ha portato a identificare 25 poliziotti penitenziari, accusati a vario titolo e in concorso di tortura, abuso d’autorità contro i detenuti ristretti in quella prigione e falso ideologico, sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive: 11 arresti domiciliari e 14 sospensioni dal pubblico ufficio. Eseguite anche 46 perquisizioni, sempre a carico di agenti, per un totale di 46 indagati. Alcuni agenti di polizia penitenziaria sono coinvolti sotto il profilo omissivo perché erano presenti, non sono intervenuti e neanche li hanno denunciati. Un comportamento che ha contribuito ad aumentare il problema allarrgandolo a macchia d’olio. L’odierno provvedimento cautelare disposto dall’Autorità Giudiziaria è frutto di una indagine avviata nel mese di settembre 2021 fino al 2023, coordinata dalla Procura della Repubblica di Trapani.