Stupro di Capodanno: condannato a 5 anni e mezzo, se la ride

L'imputato condannato a 5 anni e mezzo per lo stupro di Capodanno 2020. Dopo la sentenza afferma: "Non mi ammazza nulla, rido"

Stupro Capodanno condannato

A distanza di quasi quattro anni, il Tribunale di Roma ha condannato Patrizio Ranieri a cinque anni e sei mesi di carcere per stupro per gli avvenimento della notte di Capodanno del 2020. Una serata che si trasformò in un incubo per una ragazza di 16 anni. I fatti si svolsero durante una festa in una villetta del quartiere Primavalle, nella periferia nord della Capitale.

Al termine della lettura della sentenza, l’imputato ha commentato con parole che hanno suscitato sdegno: “Io non ho fatto niente, ho la coscienza pulita. Non mi ammazza niente, io rido sempre.” Il suo difensore ha annunciato ricorso in appello.

La Procura aveva chiesto una pena di 12 anni e mezzo, ma i giudici hanno riformulato l’accusa da violenza sessuale di gruppo a violenza individuale. Per lo stesso episodio sono sotto processo due minorenni, mentre per un altro maggiorenne è stato richiesto il rinvio a giudizio.

Stupro brutale: condannato per le sue azioni a Capodanno

“Dopo quasi quattro anni da uno degli stupri più brutali avvenuti a Roma, arriva una condanna a cinque anni e mezzo,” ha commentato Licia D’Amico, avvocata della vittima e rappresentante dell’associazione Bon’t Worry. “Leggeremo le motivazioni della sentenza, ma comunicarlo alla ragazza sarà difficile, perché riaprirà ferite profonde.”

Secondo l’accusa, la giovane fu aggredita mentre si trovava in uno stato di alterazione psicofisica, forse causato dall’assunzione di alcol o droghe. Nonostante lo shock, il 2 gennaio 2021 trovò il coraggio di presentarsi ai carabinieri di La Storta per denunciare quanto accaduto. Le sue dichiarazioni furono decisive per avviare l’indagine e risalire agli autori della violenza.

Le indagini che seguirono

Gli investigatori ricostruirono quella drammatica notte, in cui erano presenti almeno tre comitive di amici. La ragazza, anche se ancora sotto shock, riuscì a fornire agli investigatori elementi concreti per avviare le prime indagini e risalire agli autori. Fondamentali per individuare i responsabili furono le intercettazioni, che rivelarono conversazioni agghiaccianti tra i membri del gruppo. Nessuno di loro, però, era il proprietario della villetta dove si svolse la festa.

Durante il processo, svoltosi a porte chiuse, la vittima è stata ascoltata in modalità protetta. Ha ripercorso il suo dolore con una forza straordinaria:
“Ho deciso di affrontare questo processo non solo per me, ma per tutte le donne vittime di violenza. Voglio diventare avvocato per difendere chi ha vissuto quello che ho vissuto io.”

Nonostante la sentenza, la strada verso la giustizia resta lunga. Altri due minorenni e un maggiorenne sono ancora sotto processo. La definizione delle loro responsabilità sarà cruciale per completare il quadro della giustizia, ma richiederà ulteriore tempo e risorse. Ma il coraggio di questa giovane donna è un monito a non tacere di fronte alla violenza.