Si parla molto di cosa sarà il dopo-Gaza, si parla poco di una questione che rischia di essere anche più urgente: Abu Mazen (Mahmoud Abbas), il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, che è anche il Presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e che è anche il leader del Partito Fatah, è nato il 15 novembre del 1935. Ha 88 anni e quest’anno ne compirà 89; il suo ritiro dalla scena politica non può essere lontano. In molti si domandano cosa accadrà successivamente. Per entrare in argomento dobbiamo avere il quadro generale del sistema di potere che governa la Cisgiordania. In Cisgiordania non c’è la democrazia, non si vota da 17 anni e non c’è un parlamento; possiamo usare tutte le sigle che vogliamo – ANP, OLP – tanto Abu Mazen è il Presidente di tutte queste entità o autorità politiche, comunque si chiamino. Abu Mazen è stato eletto Presidente nel 2005, il suo mandato doveva durare 4 anni ma nel 2009 il suo incarico è stato trasformato “a tempo indeterminato” e così siamo giunti al 2024. Abu Mazen decide se indire oppure no le elezioni, di solito non le indice, oppure le indice – come è accaduto un paio di anni fa – e poi un mese prima della scadenza le disdice (all’epoca lui diede la colpa ad Israele, anche se Hamas disse che in verità le aveva disdette perché sapeva che loro le avrebbero vinte). Fare opposizione al Governo di Abu Mazen può essere pericoloso, si rischia di venire intimiditi, si rischia di essere arrestati, e l’avvocato difensore rischia che gli venga revocato il diritto a esercitare la professione. Alcuni fatti concreti inducono a pensare che in certi casi si rischia anche molto di più di tutto questo. In conclusione: Abu Mazen è il Capo della Cisgiordania, ha 88 anni e non c’è verso di fargli dire se ha scelto qualcuno per la sua successione Chi potrebbe prendere il suo posto? Tentiamo un rapido elenco dei possibili successori di Abu Mazen con la consapevolezza che ci stiamo addentrando in un argomento complesso, e lo facciamo cercando di attenerci alle notizie e non alle dichiarazioni anonime, ai rumors, ai gossip, che sui rivolgimenti all’interno del Partito al potere, Fatah, abbondano.
LA “GIOVANE GUARDIA”: MAJED FARAJ E HUSSEIN al-SHEIKH.
Ci sono molti parallelismi che attraversano le vite di questi due stretti collaboratori di Abu Mazen. Sia Faraj che Sheikh sono due ex-ragazzi dalla Giovane Guardia, i resistenti palestinesi che combatterono durante gli anni ‘80. In quegli anni hanno entrambi conosciuto le galere israeliane. Faraj venne arrestato una dozzina di volte e in tutto dovrebbe aver scontato sei anni di carcere, Sheikh si vide comminare una pena a 10 anni di reclusione. In carcere entrambi hanno imparato l’ebraico, Sheikh in particolare lo parla in modo fluente. Poi i due ragazzi sono cresciuti, hanno fatto carriera nel partito Fatah, ne hanno scalato i vertici: Faraj ora ha 62 anni ed è il capo dei servizi segreti palestinesi (GIS); Sheikh di anni ne ha 63 ed è a capo dell’Autorità per gli Affari Civili. La nomina di Faraj a Capo dei Servizi Segreti risale al 2009, il mandato sarebbe dovuto durare 4 anni, quindi il suo incarico nel 2023 era già scaduto da 10 anni ma lui era ancora al suo posto; comunque Abu Mazen nel marzo del 2023 ha modificato la Sezione 4 della Legge sull’Intelligence la quale ora recita che il Capo dei Servizi rimane in carica a tempo illimitato fino a quando lui (Abu Mazen) non dovesse cambiare idea. Inoltre ha elevato l’incarico di Capo dell’Intelligence al rango di Ministro. Tutto questo fa pensare che Abu Mazen voglia mettere Faraj in una posizione forte quando si aprirà la lotta per la sua successione.
I fatti dimostrano che Faraj non ha alcun amore per gli estremisti e tantomeno per gli islamisti. E’ lui che si occupa di reprimere i gruppi armati palestinesi – come il Battaglione Jenin – presenti nel nord della Cisgiordania, e certamente non ama Hamas. Il suo ruolo lo porta naturalmente ad essere in coordinamento costante con i servizi segreti israeliani e con quelli americani. Se Faraj è l’uomo dell’ordine Sheikh è l’uomo dei permessi: permessi doganali, permessi per aprire un’attività, eccetera. Soprattutto è l’uomo in grado di emettere i cosiddetti “permessi VIP”; per un palestinese comune spostarsi liberamente all’interno di Israele è praticamente impossibile, ma l’Ufficio di Sheikh – in coordinamento con le autorità israeliane – è in grado di emettere permessi speciali che autorizzano liberi spostamenti. Se un facoltoso palestinese vuole andare in un ristorante alla moda di Jaffa o desidera passare la nottata in una discoteca di Tel Aviv, con il “permesso VIP” può farlo. Inutile dire che su Sheikh grandinano le accuse di corruzione. Quando attraversa Ramallah in Mercedes (sotto nutrita scorta) pare che i passanti non lo salutino festosamente. Sheikh è Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP; un ruolo apicale che potrebbe far guardare a lui come al naturale successore di Abu Mazen. Il problema è che qualche tempo fa una manina ha fatto trapelare la registrazione di una conversazione privata in cui Sheikh criticava duramente Abu Mazen, tacciandolo sostanzialmente di autoritarismo, ed in cui – tra l’altro – era contenuto un epiteto nei confronti di Mazen dall’affascinante numerologia (“Figlio di 66 puttane”). La cosa sembrerebbe essere finita lì, ma conoscendo il caratterino di Abu Mazen non c’è da giurarci.
Faraj e Sheikh vengono descritti da diverse fonti israeliane e statunitensi come due pragmatici, i quali cercano di migliorare – nella situazione data – le condizioni concrete dei palestinesi, con la coscienza che il caos e la violenza non faranno altro che peggiorare la situazione del loro popolo; in effetti loro incarichi li portano ad essere i due dirigenti di Fatah maggiormente in contatto con le autorità israeliane e statunitensi. Per l’ala estrema della resistenza palestinese rappresentano perfettamente il degrado della loro dirigenza: Faraj impersona il pompiere che invece di combattere Israele reprime i suoi connazionali, Sheikh è l’emblema della corruzione. Dopo le stragi del sette ottobre non risultano loro dichiarazioni ufficiali. Alle riunioni con i vertici dei Paesi arabi che si tengono in questo periodo i delegati di Abu Mazen sono loro.
LA “VECCHIA GUARDIA”: MAHMOUD al-ALOUL E JIBRIL RAJOUB
Mahmoud al-Aloul (Abu Jihad) ha 74 anni, la prima volta che gli israeliani lo hanno arrestato è stato nel 1967. E’ vice-presidente del partito di Abu Mazen, Fatah. Non ama gli Stati Uniti, cosa peraltro ricambiata. Si è sempre schierato sulle posizioni di Abu Mazen, il che potrebbe farne un papabile successore. Ha definito le stragi del 7 ottobre “inevitabili” ed ha aggiunto che: “Se Israele non cambia la sua politica la prossima esplosione arriverà presto”. Alla domanda se lui prevede che l’esplosione avverrà in Cisgiordania ha risposto affermativamente.
Jibril Rajoub (Abu Rami) ha 70 anni e adesso si occupa di sport; è il Capo della Federcalcio e del Comitato Olimpico Palestinese. Un tempo dirigeva le milizie della “Forza di Sicurezza Preventiva”. Nel partito Fatah riveste l’alto incarico di Segretario Generale del Comitato Centrale. “Se i palestinesi avessero l’arma atomica dovrebbero usarla”, il vecchio combattente palestinese è famoso per frasi come questa (gli israeliani descritti come “nazifascisti”, Obama che fa discorsi “idioti” etc). Dopo le stragi del 7 ottobre ha detto che queste “non erano terrorismo ma una reazione naturale all’occupazione israeliana” ed ha definito Hamas come “Parte del tessuto nazionale palestinese”.
Nel recente comunicato di Fatah che ha accusato Hamas di avventurismo – per il quale è responsabile di aver condotto il popolo palestinese ad una catastrofe ancora peggiore di quella del 1948 – la dirigenza di Hamas è stata anche accusata di codardia, di vivere fuori dalla realtà in alberghi di lusso all’estero e di essere una pedina nelle mani dell’Iran. A fronte di questa netta spaccatura le dichiarazioni giustificazioniste su Hamas dei possibili successori di Abu Mazen appartenenti alla “Vecchia Guardia” (al-Aloul, Rajoub) sembrerebbero essere state smentite e messe in minoranza. Per contro, il silenzio dei “pragmatici” sull’argomento (Faraj, Sheikh) sembrerebbe dimostrare invece un allineamento sulle posizioni antitetiche ad Hamas descritte nel comunicato. La successione ad Abu Mazen, alla luce delle stragi del 7 ottobre, potrebbe giocarsi intorno a questa divisione politica. Va precisato che nessuno dei candidati alla successione che abbiamo velocemente descritto ha la stoffa né il seguito di un leader nazionale. Piuttosto hanno dei sostenitori in questa o quell’area della Cisgiordania e non sono apprezzati in quelle favorevoli al loro contendenti. Tutti loro hanno milizie che gli sono fedeli personalmente. Il dopo Abu Mazen potrebbe vedere – come spesso accade in politica – la vittoria di un candidato di compromesso, ma non si può escludere che la cosa possa invece finire a colpi di mitra, come sovente è accaduto nella storia della resistenza palestinese.
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