Il giardino del Lungarno del Tempio è stato dedicato al giudice Antonino Caponnetto per un motivo ben preciso: nell’estate del 2002 era invaso dagli spacciatori ed al titolare del chiosco Kabana, Daniele, era stata lasciata come minaccia una testa di agnello. Il giardino il giudice Caponnetto lo conosceva bene perché quando voleva fuggire in incognito, senza disturbare la scorta, negli ultimi anni di vita, ce lo portavo per fargli fare delle passeggiate non troppo pesanti. Momenti molto belli. Indimenticabili. Quando venne lasciata la testa come minaccia, chiamò una giornalista sua cara amica, esperta di cronaca nera e giudiziaria, Franca Selvatici di Repubblica e si fece intervistare. Fu durissimo. Il giardino venne ripulito. Alla sua morte avvenuta pochi mesi dopo il titolare del chiosco chiese al sindaco Leonardo Domenici ed all’assessore alla toponomastica Eugenio Giani, oggi presidente della Regione Toscana, che il giardino venisse a lui intitolato.
Il 19 luglio 2003 in occasione del ricordo della strage di via D’Amelio il giardino venne intitolato a Caponnetto.
Da allora il giardino è sempre stato un giardino vissuto, pieno anche di attività culturali in difesa della legalità e contro la mafia, con ogni tanto qualche problema di criminalità e di spaccio, ma prontamente risolti. Oggi dopo 21 anni la situazione è cambiata. La rottura della targa che è dedicata a Caponnetto “uomo esemplare, giudice impegnato nella lotta contro la mafia ed in difesa della giustizia e della legalità” è un evento significativo che segue ad un degrado misto ad insicurezza in continua progressione al punto che nell’ultimo mese si erano verificati numerosi episodi fastidiosi e pure gravi.
Abbiamo registrato negli ultimi giorni: un’aggressione ad una 15enne, con molestie, alla mamma di essa con relativa colluttazione in loro difesa; una spedizione punitiva da parte di una sorta di gang di albanesi che provenivano da un’altra zona della città; un continuo spaccio, pure col monopattino all’interno del giardino, con voci di scontro per il controllo delle stesso.
La sera di Sabato scorso poi verso le 23 è stato fatto un intervento di identificazione da parte dei Carabinieri nei confronti di un cospicuo gruppo di tunisini che ultimamente stazionano al giardino. In questo crescendo di criminalità è avvenuta la rottura della targa. Uno spregio alla memoria del giudice. Ora si possono fare quattro ipotesi, ma ovviamente chi indaga accerterà come sono andate le cose, ed ho piena fiducia nelle forze dell’ordine e nella magistratura, la prima delle quali è quella che a commettere lo sfregio sia stato un idiota. La più rassicurante, auspicabile perché non sarebbe un messaggio ma semplicemente una idiozia, ma anche la meno probabile a mio modesto parere per come è stata rotta la targa. La seconda ipotesi è che è stata una delle gang che operano al giardino infastidite dall’aumento dei controlli. La ritengo plausibile. La terza è la più inquietante: un messaggio mafioso o criminale organizzato. La simbologia di spaccare i luoghi dedicati a chi combatte la mafia fa parte del repertorio delle mafie italiane che vivono anche di simboli. La ritengo poco probabile. Poi volendo si potrebbe aggiungere alle tre ipotesi una quarta dell’atto involontario, ma vista la dinamica mi pare molto difficile. Una cosa però è certa: la rottura di una targa dedicata a Caponnetto è, se ne verrà accertata la volontarietà, un atto come minimo intriso di mafiosità culturale. Mafiosità insita nei comportamenti visibili in un giardino diventato una piazza di spaccio in cui si è perso il controllo del territorio.
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