“Sono e resto di Fatah, ma sono con Hamas, come tutti. Non con Hamas in sé, ma con Hamas come sinonimo di azione, di iniziativa. Di resistenza. Eravamo dimenticati. Hamas ha cambiato tutto. E quindi ora è giusto che sia Hamas ad avere la guida. A decidere.”.
Chi parla non è un palestinese qualsiasi: Tayseer Nasrallah, nato nel 1961 nel campo profughi di Balata, figlio di profughi del 1948, scuole secondarie presso le sedi dell’ONU (UNRWA) di Nablus, laurea all’Università di Al-Najah. Membro del Consiglio Nazionale Palestinese, del Consiglio Rivoluzionario Palestinese e del Consiglio Consultivo del partito Fatah. Tayseer nei campi profughi è cresciuto, ha il polso della situazione, quando è scoppiato il conflitto tra la dirigenza di Mahmoud Abbas e l’ala scissionista di Mohammed Dahlan i giornali arabi chedevano un parere a lui; perché Tayseer Nasrallah di cosa accade in Cisgiordania se ne intende, e se lui ci dice che “Tutti sono con Hamas” possiamo fidarci delle sue parole molto più di quanto potremmo confidare in sondaggi presumibilmente farlocchi che ci dicono il contrario.
Sono molti gli aspetti che la dichiarazione di Tayseer Nasrallah va a toccare.Quando dice: “Sono con Hamas, come tutti”, balza agli occhi come questa dichiarazione confligga con una visione che vorrebbe sempre il popolo sostanzialmente innocente, confinato nel limbo di uno stato di minorità e di inconsapevolezza, desideroso soltanto di vivere in pace, avere un lavoro e farsi una famiglia. La realtà che ci presenta Nasrallah è diversa, la maggioranza dell’opinione pubblica palestinese non ha trovato nulla da eccepire sulle stragi nazi-islamiste di Hamas del 7 ottobre, quei fatti sono considerati una normale reazione contro le forze di occupazione israeliane e l’operazione è stata generalmente considerata un successo.
Colpisce molto il fatto che Tayseer Nasrallah dichiari: “Sono con Hamas…E’ giusto che ora sia Hamas ad avere le guida”. Se Nasrallah potesse quelli di Hamas se li mangerebbe vivi. Fatah piange molti morti dopo la guerra civile che l’ha contrapposta ad Hamas tra il 2006 ed il 2007; e dopo quella guerra Hamas ha scacciato Fatah da Gaza e gli ha strappato la primazia tra le forze della resistenza palestinese. Ce n’è d’avanzo perché gente come Nasrallah conservi un odio imperituro per chi ha fatto tutto questo (chi scrive ha contato 18 tentativi di riconciliazione tra Hamas e Fatah da quando le elezioni palestinesi del 2006 si sono risolte a colpi di mitra, tutti falliti). Eppure Tayseer Nasrallah viene a dirci che “sta con Hamas, come tutti”; questo può soltanto significare che la popolazione della Cisgiordania è davvero sfuggita a qualsiasi controllo da parte di Fatah, e che questo partito non può far altro che cavalcare la tigre rappresentata dall’entusiasmo per il successo delle stragi di Hamas del 7 ottobre nei territori cisgiordani.
“Eravamo dimenticati. Hamas ha cambiato tutto.” In questa dichiarazione di Tayseer Nasrallah è rappresentato un pezzo di verità. Questo pezzo di verità è dovuto al modo in cui Europa e Stati Uniti sono caduti perfettamente nella trappola di Hamas. Succede un’orrenda strage ed improvvisamente la politica ed i mass media si ricordano della “questione palestinese”. La politica nasce per dare risposte ai problemi, anche se a volte i problemi non sono risolvibili né all’ordine del giorno; e, visto che qualcosa la politica la deve pur dire, all’indomani delle stragi il mondo politico ha riesumato dai cassetti di un archivio ormai polveroso le solite carte che si sono sempre giocate in Palestina. “Due Stati, due popoli”; “Rafforzare l’Autorità Nazionale Palestinese”, etc.. I mass media si sono accodati: si intervista l’anziano politico che 20 anni fa ha parlato con Magwan Barghouti, il sociologo, il professore universitario e l’analista che ci dicono cosa ne pensano. I più attenti tra costoro ci avvisano comunque che, questa o quella soluzione “sono attualmente molto difficili da conseguire”. Chi segue la questione palestinese da anni vede ripartire la “solita giostra”, le soluzioni da sempre auspicabili ma irrealizzabili, la proposte cariche di buone intenzioni che non trovano alcun riscontro nella realtà.
Questa è la trappola di Hamas in cui ancora una volta l’Europa e gli Stati Uniti sono caduti: invece di dire con una sola voce che, se queste stragi sono le modalità della resistenza palestinese, allora la questione palestinese non è più difendibile, la politica occidentale è invece corsa a riesumare la consueta sequenza di soluzioni per la questione in corso che, tra l’altro, si sono dimostrate impossibili in tempi di gran lunga “migliori” di questo.
Tutto ciò porta con se una buona dose di ipocrisia. Quando e se questa ennesima guerra israelo palestinese si concluderà, Europa e Stati Uniti ritorneranno ad occuparsi delle loro usuali priorità e i giornali a larga diffusione passeranno a parlare d’altro. Ma, così facendo, non ci si rende conto che la reazione che Europa e Stati Uniti hanno avuto in questi giorni innescherà un meccanismo per il quale, alla prossima occasione, per far ritornare l’attenzione mondiale sul problema palestinese sarà normale pensare di organizzare stragi ancora più grandi, ancora più mortali, ancora più efferate. Magari sul territorio europeo. Attenzione perché questa idea non è nuova, il medico palestinese – greco-ortodosso e marxista – George Habbash ed il suo Fronte per la Liberazione della Palestina (FPLP) la praticarono a lungo negli aeroporti europei negli anni ’70, l’idea era la stessa: scuotere il mondo per le orecchie perché si accorga della Palestina.
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