La Guardia Civil spagnola ha raccolto le prove che dimostrano che l’ex presidente catalano Carles Puigdemont è rimasto in contatto con la Russia per continuare a ricevere aiuti economici dal presidente russo Vladimir Putin. Secondo l’indagine condotta dagli agenti, alla quale ha avuto accesso il quotidiano El Debate.
Colui che nel 2017 proclamò l’indipendenza catalana si sarebbe servito di un uomo d’affari russo residente a Barcellona per mantenere i contatti con Mosca. Puigdemont è un eroe per gli indipendentisti e dal 2017 gira l’Europa per sfuggire ai mandati di cattura emessi dalla Giustizia spagnola per disubbidienza e malversazione aggravata: l’organizzazione illegale del referendum di autodeterminazione. Grazie all’immunità di europarlamentare (poi revocata) fino ad ora è sempre riuscito a evitare i tribunali spagnoli.
Sul El Debate leggiamo che “le informazioni rivelate oggi si aggiungono a quelle secondo cui già nel 2017 aveva avuto l’aiuto russo per poter realizzare la proclamazione illegale dell’indipendenza della Catalogna. La Russia ha presentato all’Esecutivo regionale due proposte. Il primo di loro era un esercito di 10.000 soldati russi. Il secondo è pagare il debito pubblico. Sei anni fa, quando furono fatte queste offerte, la Catalogna aveva un debito pubblico di 77.740 milioni di euro. Infine, nessuno dei due è stato realizzato perché il requisito è che la proclamazione dell’indipendenza sia effettiva, cosa che non è avvenuta”.
Gli investigatori spagnoli hanno confermato che i contatti di Puigdemont con l’entourage di Putin sono avvenuti con la partecipazione di Alexander Dmitrenko, un uomo d’affari russo residente a Barcellona. L’intermediario in questi colloqui sarebbe stato il politico separatista catalano Josep Lluis Alay.
I servizi spagnoli hanno inoltre scoperto che un’altra persona che collega Puigdemont a Putin era Artiom Lukoyanov, figlio adottivo del politico russo Vladislav Surkov, che è rimasto uno dei più stretti collaboratori dell’ospite del Cremlino fino al 2020.
Ora a Puigdemont non resterà che contattare un avvocato. Peccato che il suo legale di fiducia, Gonzalo Boye, dovrà sedersi sullo stesso banco del boss del narcotraffico José Ramón Prado Bugallo, conosciuto come Sito Miñanco, (l’uomo che negli Anni 90 fece entrare la cocaina colombiana in Europa) e di una trentina di suoi collaboratori. La Camera d’Appello della Corte Nazionale ha respinto il ricorso in cui Boye sosteneva l’incompetenza della Corte a processarlo per riciclaggio di denaro.
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