Marco Pantani aveva compiuto 34 anni da un mese e un giorno. Oggi vent’anni fa ci lasciava un protagonista immenso del ciclismo.
Vent’anni fa ma sembra ieri. Ci lasciava Marco Pantani
Marco non stava bene, psicologicamente e fisicamente, voleva starsene per i fatti suoi, praticamente scappò il 31 gennaio, mamma Tonina dopo un accesa discussione svenne, la portarono in ospedale e non lo vide più. Il Pirata aveva fatto perdere le sue tracce probabilmente senza neanche sapere che la madre era stata ricoverata. La madre l’avrebbe rivisto solo ormai privo di vita.
È il 14 febbraio 2004, San Valentino. Nella stanza D5 del residence ‘Le Rose’ di Rimini giace il corpo di Marco Pantani. Nell’anonima camera di un altrettanto anonimo albergo se n’era andato solo, depresso.
L’uomo dalle gambe d’acciaio ed i polmoni infiniti, lo scalatore capace di vincere nello stesso anno, il 1998, Giro d’Italia e Tour De France, domando l’Alpe d’Huez, il Galibier e il Mortirolo. Si lui ci lascia. L’autopsia rivelò che la morte risaliva al tardo pomeriggio. A causarla un edema polmonare e cerebrale dovuto a un’overdose di cocaina e psicofarmaci.
Ci manchi Pirata
Vent’anni dopo, milioni di appassionati in tutto il mondo lo ricordano ancora, indelebile nella loro mente. La bandana legata in fronte, sul volto il ghigno da Pirata, che gli varrà il soprannome, i suoi scatti che bruciavano le energie degli avversari, la maglia Rosa come una bandiera. Unico, solo contro tutti, capace di far battere forte il cuore, di far piangere e gioire insieme.
Marco Pantani, uno dei più grandi ciclisti italiani di sempre. Per questo i suoi tifosi lo hanno amato da vivo e venerato da morto, nonostante tutto. Le accuse di doping, la cocaina, i molti dubbi e il brutto modo in cui se n’è andato. Una sorta di moto collettivo rifiuta di consegnarlo alla Storia e persiste nel mantenerlo un fenomeno presente: sociale, ciclistico, di costume e (mala) giustizia.
Marco Pantani vent’anni fa la scalata al cielo dei grandi
Di miti è ricca la storia sportiva e quella del ciclismo in particolare. Pantani è, a pieno titolo, nell’empireo di Coppi e Bartali. L’inizio della sua scalata al cielo dei grandi era stato con la vecchia bici di mamma Tonina. I giovani del Gruppo ciclistico di Cesenatico non avevano mai visto quel ragazzino mingherlino che già alla prima sgambata stacca tutti in salita.
Quando firma il primo contratto da professionista Davide Boifava gli dice: ‘Ricordati che ti ho fatto un bell’accordo’. Lui gli risponde: ‘Guarda che l’affare l’hai fatto tu, perché un giorno vincerò Giro e Tour’. Marco manterrà la parola.
L’inizio è difficile, frenato da una lunga serie di infortuni. Nel ’95 lo investe un’auto e addio corsa rosa. Punta tutto sul Tour de France e sull’Alpe d’Huez infila la prima perla della sua leggendaria carriera. Dopo essere arrivato terzo al Mondiale, nell’ottobre di quell’anno, un altro incidente lo costringe a una lunga degenza.
La sfortuna non lo molla e al Giro del ’97 un gatto gli taglia la strada e lo fa cadere, costringendolo ad abbandonare.
Marco Pantani è più vivo che mai dopo vent’anni.
Ancora una volta è il Tour il salvagente, con un’altra magnifica vittoria sull’Alpe d’Huez e il podio finale dietro a Ulrich e Virenque. L’anno d’oro è il 1998, quando Pantani entra definitivamente nell’Olimpo dei più grandi, conquistando Giro e Tour, con le memorabili tappe di Montacampione, del Galibier e di Les Deux Alpes. Il 1999, dopo altre grandi imprese in salita (Gran Sasso, Oropa, Pampeago), segna l’inizio del declino: il 5 giugno, dopo la tappa di Campiglio, i controlli fanno emergere un ematocrito oltre i margini di tolleranza. Non è doping ma tanto basta per toglierlo dalla corsa. Marco è stordito, spaventato: “Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, per me sarà molto difficile”.
Era tornato alle gare ottenendo due vittorie di tappa al Tour de France del 2000, contro Lance Armstrong. Poi, maturò in lui la convinzione di essere vittima di una macchinazione e questo pensiero aveva preso il sopravvento, fino ad allontanarlo dal suo mondo. Così era passato dalla gloria al fango.
La depressione ormai accompagna Pantani e quando torna in gara del campione non c’è più traccia. Si ritira nel 2003, per curarsi dalla dipendenza da cocaina.
Aveva attaccato Pavel Tonkov, demolito Evgenij Berzin e Laurent Jalabert, distrutto Jan Ullrich, ma non era riuscito a domare i propri fantasmi e demoni.
Eppure, 20 anni dopo, il ricordo di quell’uomo speciale non è appannato. Pantani vive nei monumenti a lui dedicati (in piazza Marconi a Cesenatico, sul Colle della Fauniera, nella biglia gigante a Imola); nella Fondazione gestita dalla nipote Serena che aiuta i bisognosi. Il mito lo manterrà per sempre vivo.