Riconoscere Israele è l’unica svolta possibile

Chi scrive si è imbattuto in alcuni lanci dell’Agenzia dell’Autorità Palestinese “WAFA” risalenti a tre anni fa. In questi report la versione araba e la versione inglese differiscono costantemente in una formulazione. Faccio un esempio: in un report del 26.02.2020 leggo nella versione inglese: “I comitati popolari di Tamra e Kabul, due città arabe della Bassa Galilea nel nord di Israele…”. Nella versione araba invece il traduttore mi dà la seguente versione: “I comitati popolari di Tamra e Kabul, che si trovano nei territori del 1948…”. Ora, se io scrivo “Bassa Galilea nel nord di Israele” questo significa che riconosco Israele, ed è questo che io – che leggo la versione inglese – posso leggere nel comunicato di WAFA. Ma se sono un arabo, e ovviamente leggo il testo arabo, non trovo scritto Bassa Galilea”, ma “I territori del 1948”.  Dire “I territori del 1948” significa però non riconoscere l’esistenza di Israele. Questo riporta chi scrive ai tempi degli Accordi di Oslo ed alla critica che molti all’epoca muovevano nei confronti di Yasser Arafat: parlare con una lingua a noi occidentali e con un’altra alle masse arabe (e lo sa il cielo se Arafat non sapesse parlare al suo popolo: un oratore lucido ed allo stesso tempo appassionato, pieno di fervore e sentimento).

Gli accordi di Oslo del 1993 segnarono un passo importante nell’evoluzione politica dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. All’interno di quegli accordi venne sancito il riconoscimento di Israele da parte dell’OLP di Yasser Arafat, una scelta coraggiosa da parte del leader palestinese, che diede speranza all’intera comunità mondiale per le reali prospettive di pace in Medio Oriente. Però..

Gli Accordi di Oslo furono siglati nel settembre del 1993. Nel maggio del 1994 Arafat tiene un discorso nella moschea di Joannesburg (Sud Africa), discorso che verrà registrato e successivamente reso pubblico.
Arafat inizia il discorso con un richiamo alla Jihad in riferimento alla sovranità su Gerusalemme: “La jihad continuerà e Gerusallemme non è solo per il popolo palestinese ma per tutta la nazione musulmana” (…) “per questo ho insistito prima di firmare (gli Accordi di Oslo) per avere una lettera da loro, gli israeliani, che Gerusalemme è uno dei temi che devono essere discussi…”.

Fino a qui, per chi scrive, non c’è nulla di eccezionale. “Jihad”, per i musulmani, non significa necessariamente “Guerra Santa”, ma anche soltanto “sforzo”, “impegno” per un obiettivo. Che Arafat chieda immediatamente agli israeliani un confronto sullo status di Gerusalemme ha una sua normalità visto che negli Accordi di Oslo le parti, volutamente, rimandarono a colloqui futuri i problemi più spinosi che dividevano Israele dall’OLP. Successivamente però – riferendosi agli accordi di Oslo –  Arafat dice: “Questo accordo non lo considero più dell’accordo che era stato firmato da Maometto e (“ed i”) Koraish, e ricorderete che il califfo Omar aveva rifiutato questo accordo considerandolo una tregua spregevole”. A cosa si riferisce Arafat? Si riferisce al Trattato di Hudaybiyyah. Ed il “Trattato di Hudaybiyyah” suona charissimo alle orecchie di qualsiasi musulmano che abbia studiato. Semplificando all’osso: siamo nel 627/628 dopo Cristo. La Mecca è in mano alla tribu dei Quraysh, che sono politeisti. Maometto ed i suoi musulmani vorrebbero andare in pellegrinaggio alla Mecca ma i Quraish – che in quel momento pare siano più forti militarmente –  glielo impediscono.

A quel punto Maometto firma con la tribù dei Quraysh una trattato che impone a lui ed ai suoi seguaci clausole davvero pesanti. Nel trattato Maometto firma anche una tregua militare della durata di 10 anni. (Il “Califfo Omar”, citato da Arafat nel suo discorso, era un seguace di Maometto che aveva manifestato contrarietà ad un accordo così umiliante). Due anni dopo aver firmato questo trattato Maometto lo straccerà e conquisterà la Mecca. Arafat, nel discorso di Joannesburg, tracciando un parallelismo tra gli Accordi di Oslo ed il Trattato di Hudaybiyyah, sembra quindi dirci che il riconoscimento di Israele ad Oslo sia solo un trucco formale – adottato in un momento di debolezza militare – che cela la volontà di perseguire l’obiettivo della distruzione dello Stato Ebraico in un futuro più favorevole.

Di trattati firmati soltanto per convenienza e stracciati nel momento adatto è piena la storia del mondo e, in primis, dell’Europa. Sebbene siano passati 30 anni dagli accordi di Oslo e dal discorso di Arafat nella moschea di Joannesburg il problema, diciamo così “della dissimulazione”, è dunque ancora oggi di scottante attualità: il riconoscimento di Israele da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese è una svolta politica o soltanto un “passo avanti nella lotta” per arrivare alla totale liberazione della Palestina “dal fiume Giordano al mare”?

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