Quattordici fazioni palestinesi, tra cui Hamas, la Jihad Islamica e l’attuale detentrice del potere nell’Autorità Nazionale Palestinese, Fatah, hanno siglato ieri a Pechino – sotto gli occhi del Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi – un accordo per l’unità nazionale. L’accordo tra le fazioni è basato sul precedente Accordo Nazionale del Cairo del 4 maggio 2011 e sulla Dichiarazione di Algeri del 12 ottobre 2022.
L’Accordo prevede che si formi un governo ad interim di unità nazionale composto da tutte le fazioni. Questo governo provvisorio eserciterà il suo potere su Gaza, i Territori della Cisgiordania e Gerusalemme; sarà compito di questo governo iniziare a riunificare tutte le istituzioni di queste tre aree e iniziare la ricostruzione della Striscia di Gaza in preparazione delle elezioni generali da tenersi il più presto possibile. La riunificazione delle fazioni sotto l’ombrello dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina porterà alla formazione di un nuovo Consiglio Nazionale Palestinese che verrà implementato secondo le regole che verranno stabilite dalla futura legge elettorale. Gli sponsor di questo processo politico saranno la Russia, la Cina, l’Algeria e l’Egitto.
Non si può non essere scettici sulla possibilità che questo processo di “unità nazionale palestinese” vada in porto. Molti altri tentativi simili fatti in passato sono falliti. Fatah sa bene che verrebbe certamente sconfitta in una eventuale tornata elettorale palestinese e che Hamas avrebbe grandi probabilità di risultare il primo partito, ed è difficile pensare che i suoi dirigenti accetteranno di rinunciare al potere così facilmente. Per contro il significato politico dell’Accordo di Pechino ha una rilevanza altissima alla luce delle Stragi del 7 ottobre 2023: siglando questo documento Fatah accetta formalmente di riabbracciarsi con chi le ha programmate ed eseguite.
Sarà interessante osservare nei prossimi giorni le reazioni all’Accordo di Pechino di chi aveva pensato ad una “Autorità Nazionale Palestinese rivitalizzata” come elemento fondamentale del percorso di pacificazione dopo la Guerra di Gaza. E sarà altresì di interesse vedere come reagiranno ora quei Paesi, partiti, singole personalità ed esponenti politici che in questi mesi hanno perorato la causa dei “due Stati” come unica ed urgente soluzione che avrebbe portato la pace e la fine del conflitto israelo-palestinese. Un governo Palestinese ad interim ed un futuribile Governo Palestinese uscito dalle urne, che avranno al loro interno Hamas, la Jihad Islamica, il Fronte Popolare–Comando Generale, l’FPLP, e altri sembrerebbe non corrispondere esattamente ad una “Autorità Nazionale Palestinese rivitalizzata” per come qualcuno l’aveva immaginata; né uno Stato Palestinese sponsorizzato da Cina e Russia che avesse tra i suoi Ministri e Funzionari i dirigenti di quelle fazioni che hanno in programma – per Statuto – la distruzione dello Stato ebraico, sembrerebbe la soluzione per un futuro di convivenza pacifica con il proprio vicino israeliano. L’accordo di Pechino sembra chiudere qualsiasi spiraglio alla possibilità di avere una forza politica in Palestina che tagli decisamente i ponti con il terrorismo e con il progetto della distruzione dello Stato ebraico. Dopo l’Accordo di Pechino la guerra in Medio Oriente è ancora il futuro più probabile e la Cina, sponsorizzando questa operazione, è riuscita benissimo a renderlo tale.
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