C’è un filmato del capo di Hayat Tahrir al Sham, Abu Mohammad al Jolani – che ora ha deciso di farsi chiamare con il suo vero nome, Ahmed Hussein al Sharaa – in cui arringa una piccola folla intorno a lui e dice: “Con l’aiuto di Dio, conquisteremo Damasco e poi Gerusalemme”. Quel filmato è di soli cinque anni e mezzo fa. Correre dietro alle rassicurazioni che attualmente fornisce il capo militare che l’otto dicembre scorso ha conquistato la Siria è inutile. Khomeini prima di tornare in Iran da trionfatore è stato molto rassicurante, come la Fratellanza Musulmana in Egitto prima di vincere le elezioni, come i Talebani afghani mentre trattavano la presa del potere con gli Stati Uniti, come Putin e Medvedev quando la Russia era debole economicamente. Bisogna attendere. Serviranno mesi, o forse qualche anno, per capire chi è davvero Mohammad al Jolani: se è soltanto un uomo per tutte le stagioni o invece un jihadista con un senso molto spiccato per la presa del potere. Una cosa è sicura: Jolani è l’uomo che comanda più fucili nella ex-Siria; e chi ha molti fucili, in medio-oriente (e non solo) ha molto potere.
Certamente sappiamo che la rivolta armata siriana è partita dalla provincia di Idlib, la ridotta in cui erano stati confinati, sei anni fa circa, gli oppositori del fu dittatore Bashar Assad. E sappiamo che per proteggere la provincia di Idlib diversi soldati turchi hanno perso la vita. Sappiamo che la moneta corrente in questi anni a Idlib è stata la Lira Turca, sappiamo che la Turchia ha speso molte risorse per sostenere economicamente la provincia di Idlib. Sappiamo che il Presidente del Governo Provvisorio Siriano di questi ultimi anni, Abdurrahman Mustafa, è un turcomanno di Jarablus che ha lavorato dal 1988 al 2012 come dirigente di aziende turche in medio-oriente (Bulgaria, Libia, Arabia Saudita e Siria) e sappiamo che in una recente occasione ha dichiarato: “Per noi la bandiera turca è sacra quanto quella siriana”. Ci sono poi delle cose che possiamo ragionevolmente supporre: se tanti jihadisti di tante parti del mondo (uiguri, uzbeki, tagiki, albanesi) sono nell’esercito che ha preso Damasco, è ragionevole pensare che siano arrivati in Siria passando tra le “maglie larghe” dei controlli ai confini turchi. Se a fare la differenza in battaglia è contato il fatto che questa volta Hayat Tahrir al Sham aveva una brigata aerea per il lancio dei droni ed un mezzo battaglione attrezzato ed istruito per la guerra notturna, è ragionevole supporre che la fornitura di tutto questo materiale, l’arrivo a Idlib degli istruttori e le esercitazioni, non siano passati inosservati ai Servizi turchi; come minimo. Una cosa comunque è sicura: l’attore statale che ha vinto la Guerra Civile Siriana dopo 13 anni di battaglie è la Turchia.
Il futuro della Siria dipenderà dai rapporti tra chi ha i fucili, Hayat Tahrir al Sham comandata da al-Jolani, e chi ha il potere politico ed economico, la Turchia di Erdogan. Se il jihadismo, che Erdogan ha in qualche modo tutorato in questi anni, gli sfugge di mano, il futuro della ex-Siria assomiglierà molto a quello della ex-Libia. Se invece la Turchia di Erdogan saprà guidare il futuro della ex-Siria ci sarà una stabilizzazione. Erdogan ha tre milioni e mezzo di profughi siriani in Turchia e il loro ritorno in terra natale sarebbe per lui un trionfo politico. La Turchia prima della guerra civile aveva circa 400 piccole e medie aziende nella Provincia di Aleppo, le quali rappresentavano un forte interscambio economico. Soprattutto Erdogan è un turco che pensa alla fine dell’Impero Ottomano come a un’umiliazione da rimediare, quantomeno in parte, e a questo Impero apparteneva anche la Siria. Erdogan ha interesse a una futura Siria stabile e produttiva. È un politico abilissimo, capace di eccezionali equilibrismi nei rapporti internazionali e potrebbe avere successo. Quale tipo di Stato Erdogan possa immaginare per la ex-Siria è più difficile da prevedere. La Siria a tutoraggio turco potrebbe essere un Paese frazionato nei fatti in piccoli Stati autonomi, divisi su base settaria e/o etnica, al quale potrebbe, forse, essere data una vernice “confederale”. Potremmo quindi immaginare la futura ex-Siria come un territorio ripartito; sarebbe tendenzialmente più stabile perché prenderebbe atto delle profonde fratture etnico/religiose di cui dicevamo, ma che certamente assomiglierebbe poco a uno Stato unitario come noi occidentali lo intendiamo. Ammessa l’ipotesi che abbiamo fatto rimane una domanda: Erdogan accetterà in futuro una presenza statuale curda a est dell’Eufrate – con il fiume a fare da “Muro di Berlino” – oppure disporrà le sue milizie a una nuova, devastante, resa dei conti?
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