Putin e la resilienza della Russia tra sfide interne e adattamento

Mentre l’autorità di Putin si rafforza di fronte alle sfide interne, la minaccia nucleare diventa sempre più tangibile. La resilienza del Cremlino e le sue dichiarazioni allarmanti prefigurano un futuro incerto, dove ogni parola del leader russo potrebbe trasformarsi in un rischio concreto per l’Europa

L’invasione dell’Ucraina nel 2022 ha messo la Federazione Russa e il suo presidente, Vladimir Putin, sotto i riflettori globali. Tuttavia, il “regime politico” con cui Putin governa oggi la nazione è profondamente cambiato rispetto a quando è iniziato il conflitto. Sebbene la Russia fosse già da tempo un paese autoritario, con elezioni che sono state giudicate dai media occidentali come manipolate a favore del partito di Putin e delle élite a lui legate, la guerra ha accelerato la trasformazione del sistema politico russo in una dittatura personalistica. A prescindere dalla veridicità del boicottaggio sulle elezioni, il potere è ora concentrato nelle mani di un solo individuo, mentre le istituzioni politiche sono relegate a ruoli marginali in una gerarchia autoritaria rigidamente controllata. Questo scenario è stato recentemente descritto dalla rivista newyorkese Foreign Affairs, in un articolo intitolato “Putin il resiliente. Prevedere il crollo del suo regime è un pio desiderio”, che evidenzia come la capacità di resistenza del regime russo sia stata spesso sottovalutata dagli osservatori occidentali.

Ma quello russo è un sistema politico fragile o lo è solo in apparenza? Una buona fetta degli analisti occidentali ha spesso previsto il crollo del regime di Putin, considerandolo fragile e soggetto a errori autolesionistici. Questa interpretazione trova le sue radici nel fatto che il sistema di Putin manca di meccanismi di controllo, rendendolo, in teoria, vulnerabile. Tuttavia, gli eventi successivi all’inizio della guerra suggeriscono che il regime russo è molto più resiliente di quanto molti avessero previsto. Nonostante numerose sfide interne, il Cremlino ha dimostrato una notevole capacità di reagire e adattarsi, mantenendo il controllo e l’acquiescenza sia delle élite che delle masse.

L’invasione russa dell’Ucraina è iniziata il 24 febbraio 2022. Questa data segna l’inizio di un conflitto su larga scala, con operazioni militari da parte delle forze armate russe che hanno coinvolto diverse regioni dell’Ucraina ed ora anche della Russia.

Partiamo dalla prima prova significativa per Putin, arrivata dopo il fallimento della Russia nel raggiungere una rapida vittoria in Ucraina. L’obiettivo iniziale di Mosca sembrava essere un cambio di regime a Kiev, ma la resistenza ucraina, sostenuta dall’Occidente, ha bloccato questi piani. Questo insuccesso aveva generato un malcontento crescente, alimentato dai “critici opinionisti” dell’online. Questi commentatori, sebbene non facenti parte del sistema politico formale, avevano acquisito una certa influenza denunciando i fallimenti dell’esercito russo.

Cosa ha fatto Putin? Li ha repressi? No! Il presidente ha giocato d’astuzia: invece di sopprimere quelle “voci”, il Cremlino le ha cooptate, permettendo loro di dialogare con il governo e persino influenzare alcune decisioni militari. Quella mossa aveva stabilizzato, almeno temporaneamente, la situazione interna, mostrando una notevole capacità di adattamento del regime.

Il Gruppo Wagner è un’organizzazione paramilitare privata russa, spesso definita di mercenari. Ufficialmente non esiste come entità legale nella Federazione Russa, ma è ampiamente considerata come un’organizzazione strettamente collegata al governo, in particolare ai servizi di sicurezza. Sergej Prigožin è stato il suo principale finanziatore.

E poi è arrivata la Wagner…  Una delle sfide più gravi al regime è sopraggiunta nel 2023 con la ribellione di Evgenij Prigožin, leader della compagnia paramilitare Wagner. Prigožin, frustrato dalla mancanza di rifornimenti e dalla gestione della guerra da parte del Ministero della Difesa, aveva lanciato un’insurrezione armata, chiedendo la rimozione dei vertici militari russi. Questo episodio è stato rappresentativo di una minaccia diretta non solo per la leadership militare, ma per l’intero sistema politico russo.

Il governo russo aveva negoziato un accordo con Prigožin per fermare la ribellione con la Wagner.

L’entourage politico russo aveva risposto rapidamente, negoziando un accordo con Prigožin per fermare la ribellione e trasferire le sue forze in Bielorussia. Pochi mesi dopo, Prigožin venne ucciso in un incidente aereo, un evento che molti hanno interpretato come un chiaro messaggio a chiunque sfidasse l’autorità di Putin. Il regime ha poi smantellato Wagner, distribuendo le sue risorse tra le agenzie di sicurezza più fedeli, assicurando che nessuno potesse ripetere l’ascesa al potere di Prigožin.

Dopo la ribellione della Wagner, Sergej Šoigu è stato rimosso dal suo ruolo di ministro della Difesa.

Dopo la ribellione, il Cremlino ha avviato un rimpasto del personale governativo, con un focus particolare sul Ministero della Difesa. Sergej Šoigu, pur rimosso dal suo ruolo di ministro della Difesa, è stato strategicamente ricollocato in una posizione di potere all’interno del Consiglio di sicurezza russo, mentre altri ufficiali di alto rango sono stati epurati o posti sotto inchiesta, come nel caso noto alla cronaca del viceministro della Difesa Timur Ivanov. Questo turnover, sebbene rischioso, bisogna ammettere che è stato gestito con abilità, evitando ulteriori scosse all’interno dell’élite politica russa.

Il viceministro della Difesa Timur Ivanov, sempre a seguito della ribellione del gruppo Wagner, è stato messo sotto inchiesta ed incarcerato per corruzione.

La realtà dei fatti è che Putin ha dimostrato di poter navigare queste turbolenze con successo, mantenendo il controllo e rafforzando la sua posizione al vertice della gerarchia autoritaria russa. La resilienza del regime è stata evidenziata dalla sua capacità di rispondere alle sfide interne e di adattarsi a nuove circostanze, assicurando la continuità del potere.

Possiamo dunque affermare che siamo di fronte ad un caso di resilienza a prova di crisi? Nonostante le tensioni interne e le sfide significative, il regime di Putin ha dimostrato una notevole capacità di adattamento. Tuttavia, la Russia non è invulnerabile. Le lotte interne, i problemi economici e la crescente stanchezza per la guerra potrebbero alla lunga erodere il sostegno al regime, esasperare la popolazione che fatica a intravedere un futuro e portare a una ribellione.

Nonostante le tensioni interne e le sfide significative, il regime di Putin ha dimostrato una notevole capacità di adattamento.

Inoltre, dobbiamo considerare che Vladimir Putin, a 71 anni, non vivrà per sempre: la questione della sua successione resta un’incognita e potrebbe rappresentare un momento di grande vulnerabilità per il Cremlino. Per ora, però, il regime russo ha dimostrato una sorprendente resilienza, continuando a dominare la scena politica nonostante le numerose sfide affrontate. Il futuro rimane incerto, ma la capacità di Putin di adattarsi e mantenere il controllo è una forza da non sottovalutare, soprattutto in un momento in cui lui stesso minaccia l’uso di armi nucleari qualora l’Ucraina non ritiri le truppe dalla Russia. Si tratta di allarmismo? Vale la pena ricordare che, sebbene la stragrande maggioranza dei media occidentali siano rimasti increduli di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, Putin in realtà l’aveva annunciata più volte. In sostanza, ciò che dice, lo fa: meglio ascoltare e prevenire in questi casi.