Putin e i suoi missili: il mosaico letale che ridisegna la geopolitica mondiale

Dai CRBM agli ipersonici: come l'arsenale russo tiene in scacco l'Occidente

L’arsenale missilistico russo è molto più di una raccolta di armamenti avanzati: è il cuore pulsante della strategia geopolitica di Vladimir Putin. Dietro sigle criptiche e dettagli tecnici si cela un meccanismo ben orchestrato, frutto di avanzamenti tecnologici e una notevole capacità militare, che influisce sugli equilibri globali alimentando costantemente tensioni internazionali. Comprenderne la struttura è cruciale per decifrare le mosse del Cremlino, che non si limita a dimostrazioni di forza ma ambisce a consolidare il ruolo della Russia come superpotenza globale. 

Il viaggio nel panorama missilistico russo inizia con i CRBM (Short-Range Ballistic Missiles), come l’Iskander-M. Progettati per colpire obiettivi fino a 500 chilometri, questi ordigni rappresentano un elemento essenziale della tattica russa. Con una precisione letale, sono in grado di distruggere infrastrutture chiave, basi militari e centri di comando, generando devastazione mirata. La loro efficacia è stata ampiamente dimostrata in conflitti regionali, come in Ucraina, dove hanno svolto un ruolo determinante nel logorare le difese avversarie e seminare il caos.

A livelli superiori troviamo gli IRBM (Intermediate-Range Ballistic Missiles), come l’RS-26 Rubež, capaci di colpire bersagli compresi tra 500 e 5.500 chilometri. Questi strumenti strategici rappresentano il punto di congiunzione tra operazioni tattiche e azioni di ampio raggio, grazie alla possibilità di trasportare testate multiple indipendenti (MIRV) e alla capacità di eludere i sistemi di difesa mediante manovre imprevedibili. Con una portata che abbraccia gran parte di Europa e Asia, costituiscono una minaccia tangibile e sono spesso al centro di dispute diplomatiche per il rischio che possano violare accordi storici come il Trattato INF.

Questo mosaico di armamenti rappresenta una forza coordinata che spinge il Cremlino a ridefinire gli equilibri globali, utilizzando tecnologia avanzata come leva per consolidare il suo dominio strategico.

Il Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces), firmato l’8 dicembre 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv, sancì l’eliminazione dei missili nucleari a raggio intermedio in Europa, ponendo fine alla crisi degli euromissili. Tuttavia, negli anni successivi, sono emerse accuse di violazione dell’accordo. Gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di sviluppare e schierare il missile da crociera 9M729 (SSC-8), in presunta violazione del trattato. La NATO ha riconosciuto queste violazioni e ha invitato la Russia a ristabilire il rispetto totale e verificabile del trattato Parlamento Europeo. In risposta, la Russia ha negato le accuse e ha sollevato preoccupazioni riguardo al sistema di difesa missilistica europeo degli Stati Uniti. Queste tensioni hanno portato, nel 2019, al ritiro degli Stati Uniti dal trattato, segnando la fine di un’era nel controllo degli armamenti.

Al vertice della piramide troviamo i ICBM (Intercontinental Ballistic Missiles), veri e propri strumenti di distruzione globale. L’RS-28 Sarmat, conosciuto come “Satan II”, è il simbolo di questa categoria. Con una portata superiore ai 10.000 chilometri e la capacità di trasportare più testate nucleari indipendenti, questi missili incarnano la “second strike capability” russa, ovvero la capacità di rispondere a un attacco nucleare con una devastazione totale. Questo li rende un pilastro della deterrenza russa, la cui strategia si basa sulla minaccia della distruzione reciproca assicurata per prevenire conflitti su larga scala.

Tuttavia, sono i missili ipersonici a rappresentare la vera rivoluzione tecnologica e a spingere l’Occidente a rivedere le proprie difese. Con il Kinžal, capace di superare Mach 10, e l’Avangard, che raggiunge velocità superiori a Mach 20, la Russia ha aperto una nuova era nella corsa agli armamenti. La combinazione di velocità e manovrabilità rende questi missili quasi impossibili da intercettare. Sono strumenti perfetti per colpire rapidamente e senza preavviso, creando una vulnerabilità mai vista nei sistemi difensivi della NATO e degli Stati Uniti.

Non meno importanti sono i missili da crociera, come il Kalibr e il Kh-101, progettati per volare a bassa quota seguendo il terreno, eludendo così i radar nemici. Questi missili sono l’arma ideale per distruggere infrastrutture vitali, come centrali energetiche e ponti.

Utilizzati sia da navi sia da sottomarini, hanno già dimostrato la loro letalità negli attacchi contro l’Ucraina, causando danni enormi alle infrastrutture strategiche.

 A coordinare l’intero arsenale ci sono avanzati sistemi di comando e controllo come l’Orešnik, che integra balistici, ipersonici e missili da crociera in una rete operativa micidiale. Questa capacità di coordinare diverse tipologie di attacchi rende la Russia un avversario estremamente difficile da contrastare, soprattutto in scenari di guerra ibrida.

Ciò che emerge da questa analisi è un quadro tanto complesso quanto preoccupante.

Ogni tipo di missile assolve una funzione specifica: i CRBM sono pensati per operazioni regionali, gli IRBM estendono l’influenza su paesi strategicamente rilevanti, gli ICBM assicurano una capacità di risposta globale, mentre i missili ipersonici riscrivono le regole dei conflitti moderni. Tuttavia, interpretare questi strumenti come semplici dimostrazioni di potenza rischia di sminuire il vero obiettivo di Mosca. Putin non si limita a esibire la supremazia tecnologica della Russia, ma cerca di consolidare il suo ruolo di protagonista nel nuovo equilibrio mondiale.

Ogni lancio, che sia pratico o simbolico, invia un segnale preciso, intrecciando capacità bellica, calcolo politico e una chiara proiezione di autorità. L’Occidente, da parte sua, si trova davanti a una doppia sfida: sviluppare sistemi di difesa in grado di affrontare queste minacce e decifrare le logiche che spingono il Cremlino a sfruttare l’arsenale missilistico come strumento di pressione geopolitica. Il ricorso alle armi balistiche non è solo una questione militare, ma rappresenta l’apertura di un nuovo scenario nella competizione per il predominio globale.