Una protesta studentesca così non l’avevamo mai vista: con gli studenti che non contestano le istituzioni scolastiche ma si battono per tornare a studiare tra le loro mura, in presenza. E con tutte le componenti che solitamente rappresentano il fronte contrapposto in questi frangenti che stanno dalle loro parte… lo sono infatti i genitori, lo sono gli insegnanti e così pure gli arcigni presidi, solitamente primo bersaglio della rivolta. E, incredibile a dirsi, perfino il Ministro dell’istruzione (Ministra, in questo caso) da sempre su posizioni inconciliabili con gli studenti, ne sposa la battaglia.
La protesta 2.0 degli studenti
Cosa è accaduto? Cosa ha reso questa protesta studentesca 2.0 così diversa da quella ormai storica del ’68, ma anche da quelle che in varie epoche successive l’hanno seguita, forse con ideali progressivamente più annacquati ma con modalità sempre molto simili? La pandemia, certo. Lo stravolgimento progressivo della società non poteva non avere ripercussioni sul delicato e sensibilissimo universo della scuola. E sul suo ruolo di plasmatore culturale, fondamentale nella vita di uno Stato evoluto, imprescindibile addirittura.
Scuola vittima illustre della pandemia
Non siamo sociologi né politologi, perciò lasciamo ai primi il compito di inquadrare il fenomeno nei suoi molteplici risvolti psico-sociali, mentre ai secondi chiediamo di approfondire la sensazione che, mentre la protesta del ’68 era frutto di un movimento organizzato, quella 2.0 appare basata essenzialmente sullo spontaneismo. Dal canto nostro ci preme invece sottolineare che appare evidente che l’epidemia che sta sconvolgendo le nostre vite sia andata ben oltre quanto avevamo potuto ipotizzare all’epoca della prima ondata e relativo lockdown, tracimando e infiltrandosi in ogni piega del nostro vivere quotidiano e deflagrando quindi in modo dirompente nel luogo dove dovrebbe costruirsi il futuro di un popolo, la sua cifra, la sua identità, la sua coscienza civile.
Proprio mentre scriviamo ci arriva notizia dello sfociare della protesta in vere e proprie occupazioni degli istituti scolastici per rivendicare fisicamente il diritto di studio in presenza, e di iniziative degli studenti per portare i p.c. portatili della didattica a distanza, (la famigerata e detestata Dad divenuta il vero nemico e filo conduttore della protesta 2.0) nei cortili delle loro scuole, per riappropriarsene così almeno negli spazi aperti.
Davvero tutta colpa della Dad?
Demonizzare la Didattica a distanza ci sembra però sbagliato. Siamo convinti che si tratti di un dispositivo utilissimo da utilizzare come strumento aggiuntivo in un contesto di normalità educativa. Andrebbe anzi potenziato adeguatamente per renderlo davvero fruibile su tutto il territorio nazionale e con standard di qualità della connessione uniformi e ad alti livelli. Una risorsa da affiancare all’insegnamento in aula, alternandolo in modo mirato ed efficiente.
È stata una risposta inevitabile nella prima fase della pandemia, consentendo di portare a termine un anno scolastico che altrimenti, travolto come molte altre cose dal mostro sconosciuto chiamato Coronavirus, ben difficilmente sarebbe stato possibile concludere, consentendo anche dove previsti, il regolare svolgimento degli esami. Ma la Dad non può rimpiazzare in toto e per sempre la didattica in presenza, fatta all’interno di quelli che sono da sempre i luoghi deputati all’apprendimento: le scuole.
Necessario sforzo collettivo per tornare in presenza
È vero, l’epidemia da Coronavirus morde ancora e anzi per molti aspetti la seconda ondata si è rivelata peggiore della prima. Ma la differenza fondamentale è che noi ora lo conosciamo, il mostro. Non siamo più presi di sorpresa, alla sprovvista e non possiamo pensare di proseguire con modalità emergenziale all’infinito. Perché la battaglia si prospetta ancora lunga e durerà molto probabilmente per tutto il 2021 e ce ne porteremo dietro gli strascichi forse anche per una parte del 2022. Con i dovuti accorgimenti, differenziando gli orari, potenziando i trasporti e i controlli agli ingressi e alle uscite, ma abbiamo il dovere di riportare i nostri ragazzi, la nostra “Next Generation”, nelle aule, di fronte agli insegnanti e insieme ai loro compagni. Perché la scuola non è solo una voce che ti spiega la lezione da un computer né un libro da studiare da soli a casa. La scuola è un universo da vivere e condividere con gli altri, è un luogo che forma ed è formato dalla moltitudine che ci passa e sì, anche da tutta quella che ci è passata prima di lei.
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