La storia è una cosa strana. Ci interessa molto quella passata ignorando spesso quella che accade oggi, proprio sotto i nostri occhi. Ne è chiara dimostrazione quanto sta accadendo nel mondo dello sport con due personaggi giovanissimi ma già finiti nell’olimpo di oggi e soprattutto di domani. Il primo è Jannick Sinner, il tennista azzurro vincitore ieri del Master 1000 di Shanghai e che sicuramente chiederà questo 2024 da numero 1 del mondo. Peccato che i successi di questo anno solare del tennista altoatesino sono diventati così una «normalità» da farci perdere peso e dimensione. Eppure basterebbe tornare indietro di un anno per ricordare quando si festeggiava e si narrava come «impresa» una semplice qualificazione a una semifinale di uno dei 15 tornei più prestigiosi dell’anno. Oggi che l’azzurro o vince o perde in finale di poco (contro Alcaraz) la cosa passa senza l’enfasi che meriterebbe. La realtà è che in questo 2024 Sinner ha vinto due tornei del Grande Slam (Australian Open e Us Open), due Master 1000 (Shanghai e Cincinnati) e altri tre tornei Atp, roba che il tennis italiano ha conquistato a livello maschile solo mettendo assieme i precedenti 50 anni di storia, e forse nemmeno basta.
Siamo davanti a un Fenomeno (non a caso scritto con la F maiuscola); siamo davanti a un Campione che oggi pare non avere rivali (soprattutto sul cemento) e che potrebbe dominare il mondo del tennis per un decennio. Tutte cose che nemmeno avendo tra le mani la lampada di Aladino avremmo potuto immaginare. Quindi Sinner dev’essere esaltato, celebrato, persino idolatrato e non fatto passare così, quasi in secondo piano come ha fatto ad esempio oggi la Gazzetta dello Sport che gli ha dedicato mezza pagina d’apertura (l’altra, ovviamente, spetta al Dio Pallone, pur in una domenica senza campionato…) mentre Corriere dello Sport e Tuttosport sono stati per fortuna monotematici sul tennis.
Oltre a Sinner l’altro grande protagonista del weekend è stato Tadej Pogacar, il fenomeno sloveno che ha conquistato il Giro di Lombardia con l’ennesima impresa da raccontare ai nipoti alla fine di un anno difficilmente ripetibile dove ha conquistato Giro d’Italia e Tour de France (con 6 successi di tappa per corsa), oltre al Mondiale e due classiche «monumento», il Lombardia e la Liegi, senza dimenticare la vittoria alle «Strade Bianche» di inizio stagione, scattando a 81 km proprio nel punto in cui il giorno prima aveva annunciato la sua azione. Si perché Tadej non si limita a vincere o a stravincere; lo sloveno dà spettacolo, emoziona, fa cose che non hanno senso e soprattutto nessuno negli ultimi 50 anni ha mai pensato di fare. Quando decide di partire, contro tutto e tutti, lui va, solo, dando l’idea di una scelta inizialmente folle ma così bella da portare tutti a tifare per lui. Abituati a corse che si chiudono negli ultimi km con uno scatto finale di questo o quello, Pogacar ci sta riportando ad una forma di ciclismo differente, quella epico di Coppi e Merckx, a imprese che lo stanno trasformando in idolo delle folle di ogni parte del mondo. Il problema è che rischia di rimanere circoscritto al mondo delle due ruote a pedali, mentre dovrebbe essere trattato come icona mondiale, al pari di Michael Jordan o Federer tanto per fare due esempi degli ultimi decenni.È il brutto della storia di cui si parla sempre al passato, dimenticandoci il presente. Beati noi che oggi ci possiamo godere questi due marziani, uno dei quali addirittura ha la maglia azzurra.
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