La brutale aggressione contro inermi civili israeliani lo scorso 7 ottobre ha completamente mutato la situazione per quanto riguarda il terrorismo internazionale di matrice islamica. Qui non si tratta più di una questione tra Hamas e Israele ma riguarda tutti: israeliani, palestinesi e tutta la comunità internazionale, perché come dice Boaz Ganor, direttore dell’International Institute for Counter-Terrorism di Herzliya: “chi attacca i miei militari è un mio problema, ma chi attacca i miei civili è un problema della comunità internazionale”.
Gli eventi del 7 ottobre non hanno soltanto mostrato un orrore agghiacciante da parte dei terroristi di Hamas, con bambini decapitati, donne stuprate, torture, persone bruciate vive, anziani maltrattati. Hamas stavolta ha colpito tutti, israeliani e non israeliani. L’attacco è contro tutti e non a caso ogni settimana Hamas lancia l’appello alla mobilitazione globale. Risultato? Omicidi in Francia, in Belgio, attentato all’ambasciata israeliana a Cipro, scontri tra manifestanti pro-Hamas e polizia.
Hamas stavolta ha alzato il livello dell’orrore. Un elevato numero di morti non è più sufficiente. Vogliono far vedere al mondo di cosa sono capaci e filmano tutto, in perfetto stile ISIS. Sanno di avere il sostegno dell’Iran e dunque si sentono forti. Il fatto che venerdì Hamas abbia rilasciato due ostaggi statunitensi non deve ingannare; i “motivi umanitari” non abbindolano nessuno, perché chi decapita bambini e brucia vive le persone non sa nemmeno dove sta di casa la questione “umanitaria”. Se lo hanno fatto, è per avere qualcosa in cambio e la cittadinanza statunitense dei rilasciati non è un caso, ma su questo si vedrà.
Israele dovrà reagire, lo sta già facendo con la distruzione delle infrastrutture di Hamas a Gaza, con l’eliminazione dei suoi leader mentre si aspetta la tanto attesa invasione di terra. Il fatto che non sia ancora partita è plausibilmente dovuto a una serie di fattori complessi, sia tattici che strategici.
Stavolta non si tratta di ridimensionare le potenzialità operative di Hamas, come nelle precedenti operazioni su Gaza; i vertici politici e militari israeliani sono stati chiarissimi: “Hamas scomparirà”. Un obiettivo di tale portata necessita di una preparazione senza precedenti ed è bene ricordare come Israele sia stata trascinata in questa guerra improvvisamente ed inaspettatamente. Certamente i vertici politici e dell’intelligence hanno le loro grosse responsabilità per la facilità con cui Hamas è riuscita a colpire il 7 ottobre scorso, ma adesso la cosa fondamentale è far si che Hamas non possa nuocere mai più e su quello bisogna focalizzarsi.
Usando il paradigma di Ganor sul terrorismo, è possibile evidenziare come Israele si trovi a dover colpire al medesimo tempo i due fattori che alimentano l’attività terroristica, ovvero sia le capacità operative di Hamas, sia la motivazione dell’organizzazione. Anzi, si dovrà andare oltre ed azzerare sia le capacità che la struttura. Ciò implica lo sradicamento della presenza di Hamas su Gaza e l’eliminazione della leadership. In sunto, Hamas dovrà scomparire dalla Striscia. Operazione non semplice considerato che i terroristi sono radicati lì da decenni ed hanno costruito un labirinto sotterraneo di tunnel, cunicoli, rifugi, depositi, possibilmente sotto infrastrutture civili come ospedali, scuole.
Come spiegato da Ganor, le capacità operative di un’organizzazione terrorista si distruggono con l’attività militare e questa è attualmente in corso nella sua prima fase, quella dei bombardamenti aerei. In passato questo sarebbe stato sufficiente a depotenziarne temporaneamente le capacità di attacco verso Israele, ma come dimostrano i fatti, non è stata una strategia felice in quanto soluzione temporanea. Stavolta bisogna andare oltre con una seconda fase di terra per sradicare Hamas ed è fondamentale che il successo sia garantito. Questo perché altrimenti si rischia il cosiddetto “effetto boomerang”.
Secondo il paradigma precedentemente citato infatti, un attacco nei confronti dei terroristi ne incrementa la motivazione (la sete di vendetta e la volontà di mostrare la propria forza a prescindere), ma senza potenzialità di attacco, non possono nuocere.
Se la campagna militare dovesse però impantanarsi o fallire durante la seconda fase, ciò sarebbe un successo enorme per Hamas che potrebbe non soltanto contare su altissima motivazione, ma anche su potenziali successi sul campo che Israele non può assolutamente permettere. Appunto, “l’effetto boomerang”.
E’ dunque fondamentale che l’esercito israeliano pianifichi molto bene le operazioni e ciò richiede tempo, un complesso lavoro di intelligence senza precedenti, una pianificazione meticolosa, la coordinazione delle unità, a cui va ad aggiungersi la delicata situazione degli ostaggi. In aggiunta, c’è anche il problema di Hezbollah sul fronte nord. Non bisogna dunque sorprendersi se l’inizio della seconda fase necessita di tempo.
Per quanto riguarda la motivazione, è principalmente nelle mani della leadership, dei predicatori che alimentano l’ideologia del martirio e dei finanziatori di Hamas (si sa molto bene chi sono). Per porre fine a Hamas, Israele dovrà eliminarne la leadership (come fece con Settembre Nero), la propaganda e colpire i finanziatori.
E’ inoltre fondamentale tener presente che la guerra è una questione di costi e benefici. Israele si trova a fronteggiare una serie di problematiche che vanno dalla possibile perdita di uomini durante le operazioni di terra che avrebbero un impatto sulla struttura militare, sulla morale ed anche sull’opinione pubblica già inferocita con il governo per il fiasco del 7 ottobre.
Come se non bastasse, Israele si trova anche a dover combattere una guerra mediatica e non è un caso che l’IDF sia quotidianamente attivo con video su YouTube e conferenze stampa per fornire informazioni sugli eventi in corso.
Mentre Hamas può infatti contare sulla propaganda mediatica anche in ambito mainstream, con certe emittenti che danno per scontato le dichiarazioni dell’organizzazione terrorista senza apportare le necessarie verifiche (come si è visto con il razzo caduto sull’ospedale al-Ahli di Gaza, quando venne subito data la colpa a Israele salvo poi scoprire poco dopo che il razzo era stato sparato dalla Jihad Islamica Palestinese).
Le accuse di colpire i civili sono poi un classico nei confronti di Israele e non è certo un caso che stavolta l’IDF stia facendo il possibile per cercare di mettere al riparo i civili palestinesi che Hamas utilizza però come scudi umani.
La guerra, si sa, si combatte anche e soprattutto sui media. Non è certo un caso che Israele si sia mosso per chiudere gli uffici di al-Jazeera a Gaza, accusandola di fare da cassa di risonanza per Hamas e di mettere a repentaglio i militari divulgando informazioni sensibili.
A ciò, vanno ad aggiungersi le pressioni internazionali che aumenteranno, plausibilmente anche dai cosiddetti “Paesi amici”, una volta iniziata la seconda fase, quella di terra su Gaza. Del resto non tutti gli attori internazionali vedono di buon occhio uno sradicamento di Hamas da Gaza, ma questo è un altro discorso. Una cosa è certa, stavolta non possono esserci mezze misure e Israele dovrà andare fino in fondo, che piaccia o meno.
@riproduzione riservata