Dopo il caos per le plusvalenze fittizie, la serie A si ritrova a fare i conti con un’altra vicenda altrettanto torbida che rischia di minare ulteriormente la (già non eccelsa) credibilità del nostro massimo campionato.
Ci riferiamo, ovviamente, alla vicenda “scommesse” che sta mettendo in agitazione tanti tifosi, visto che alcuni loro beniamini potrebbero risultarne invischiati.
Le pene previste dal Codice di Giustizia Sportiva (C.G.S.) sono infatti severe, con la conseguenza che, in caso di eventuale accertamento di una qualche responsabilità dei calciatori coinvolti, le squadre di loro appartenenza si vedrebbero private delle prestazioni dei medesimi per un lasso di tempo apprezzabile, con un grave nocumento, per le stesse, sia sul piano strettamente sportivo che su quello economico.
A tal proposito, giova ricordare che a mente dell’art. 24 del C.G.S., “ai soggetti dell’ordinamento federale, ai dirigenti, ai soci e ai tesserati delle società appartenenti al settore professionistico è fatto divieto di effettuare o accettare scommesse, direttamente o indirettamente, anche presso i soggetti autorizzati a riceverle, che abbiano ad oggetto risultati relativi ad incontri ufficiali organizzati nell’ambito della FIGC, della FIFA e della UEFA”.
Come riportato nei giorni scorsi dagli organi di stampa, il giocatore della Juventus, Nicolò Fagioli, ha ammesso di aver effettuato delle scommesse su piattaforme – peraltro non autorizzate a riceverle – con riferimento ad un numero imprecisato di partite di calcio (non è però ancora chiaro se lo abbia fatto anche in relazione ad incontri disputati dal club in cui milita).
Se, quindi, la violazione del menzionato art. 24 del C.G.S. appare ormai una circostanza acclarata, resta da capire a quale pena possa andare incontro concretamente il calciatore.
In tal senso, va osservato che la violazione della norma federale in questione comporta “la sanzione della inibizione o della squalifica non inferiore a tre anni e dell’ammenda non inferiore ad euro 25.000,00”.
Questa sarebbe, quindi, la pena minima nel caso in cui il giocatore venisse condannato a seguito di un processo sportivo. Laddove, però, Fagioli optasse per una procedura alternativa al processo, e segnatamente all’istituto del “patteggiamento” o della“collaborazione fattiva”, potrebbe ottenere degli sconti di pena.
Vediamo quali potrebbero essere i “pro” ed i “contro” per il calciatore nell’una e nell’altra ipotesi.
Nel caso del patteggiamento occorre distinguere a seconda che l’eventuale accordo sull’applicazione concordata della pena avvenga prima o dopo il deferimento da parte del Procuratore Federale.
Ed infatti, per il giocatore sarebbe più conveniente patteggiare prima del deferimento formale (che dovrebbe avvenire entro i primi giorni del mese prossimo) poiché ciò gli consentirebbe di dimezzare la pena minima prevista e quindi di scendere dai tre anni di squalifica ad un anno e mezzo (secondo quanto previsto dall’art. 126 del C.G.S.).
Viceversa, laddove patteggiasse dopo il deferimento, la riduzione massima, a tenore dell’art. 127 del C.G.S. sarebbe di un terzo; quindi la squalifica si attesterebbe sui due anni.
In ogni caso, il calciatore potrebbe pur sempre ottenere un’ulteriore diminuzione della sanzione laddove gli vengano riconosciute delle circostanze attenuanti.
La “collaborazione fattiva” è invece un istituto regolato dall’art. 128 del C.G.S., il quale prevede che “in caso di ammissione di responsabilità e di collaborazione da parte dei soggetti sottoposti a procedimento disciplinare per la scoperta o l’accertamento di violazioni regolamentari, gli organi di giustizia sportiva possono ridurre, su proposta della Procura federale, le sanzioni previste dalla normativa federale ovvero commutarle in prescrizioni alternative o determinarle in via equitativa”.
Il presupposto applicativo di codesto istituto è costituito, oltre che dall’ammissione della responsabilità dell’incolpato, anche dalla collaborazione di questi finalizzata a realizzare un concreto contributo mirante a far conoscere all’Organo inquirente fatti dei quali altrimenti gli Organi di giustizia sportiva non avrebbero avuto conoscenza; in tal senso è sufficiente qualunque contributo purché diverso ed ulteriore dalla semplice ammissione di responsabilità volto all’accertamento – cioè alla precisazione ed alla individuazione delle responsabilità – di violazioni già note.
Atteso il particolare favore sanzionatorio riservato nei confronti di colui che accede a tale istituto (che potremmo definire “penitenziale”), appare più logico pensare, contrariamente a quanto riportato da diverse testate giornalistiche, che il calciatore possa fare ricorso ad esso piuttosto che al patteggiamento.
In tale ipotesi, infatti, Fagioli potrebbe “cavarsela” con pochi mesi di squalifica, visto che l’entità della sanzione verrebbe determinata “equitativamente” in base al contributo investigativo apportato.
D’altronde la strategia (saggiamente consigliata dai suoi legali per uscirne col minimo danno possibile) sembra essere proprio quella di collaborare con la Procura Federale (prova di ciò ne è il fatto che vede il calciatore essersi già autodenunciato).
A questo punto è di facile comprensione come la scelta tra il “patteggiamento” e la “collaborazione” rechi con sé implicazioni di notevole rilevanza, perché scegliendo la collaborazione, l’incolpato, a differenza del patteggiamento, dovendo contribuire a fare luce sui fatti nonché ad individuare gli altri corresponsabili, finisce inevitabilmente con l’inguaiare altri tesserati.
Ecco perché, in definitiva, gli altri soggetti coinvolti nella vicenda (tra questi certamente quelli facenti parte della famosa chat delle scommesse), rispetto ai quali nulla (o quasi) è ancora venuto allo scoperto, potrebbero non dormire sonni tranquilli visto che i loro nomi potrebbero da un momento all’altro venir fuori.
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