Medici e psicologi ebrei in tempo di conflitto

Aharon Mirco Ferrari, ebreo, psicologo clinico, lavora sia in strutture residenziali sanitarie che come psicologo nel suo studio privato, vicepresidente della chavurà progressiva “Har Sinai” di Bergamo e membro di Associazione Medica Ebraica, fondatore del Gruppo Ebraico di Psicologia.

Aharon, qual è stata l’ispirazione principale per la creazione del Gruppo Ebraico di Psicologia?

Dopo il 7 ottobre 2023, noi ebrei, ci siamo ritrovati non solo scompensati dallo shock di quanto accaduto ma successivamente anche sconvolti dalle reazioni di molte associazioni e movimenti che fin da subito si sono schierati apertamente in un conflitto che all’epoca doveva ancora raggiungere il suo massimo potenziale. Improvvisamente mi sono accorto che molte associazioni di categoria si sono schierate politicamente chiedendo addirittura al CNOP, consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi di prendere una posizione forte nei confronti del conflitto mediorientale. Al netto del fatto che schierarsi politicamente come professionisti è vietato dal nostro codice deontologico, questa situazione ha creato un grosso isolamento professionale. Alcuni eventi professionali sono stati annullati proprio perché i partecipanti erano israeliani.

In che modo il gruppo intende affrontare le sfide legate all’isolamento politico e ideologico che caratterizzano i professionisti del settore?

 Il gruppo ebraico di psicologia vuole essere una casa per tutti i professionisti non solo per i professionisti di religione ebraica. Vogliamo continuare il nostro lavoro di promozione e formazione in campo psicologico aderendo al codice deontologico degli psicologi italiani, codice nel quale si ritrova l’essenza stessa della nostra professione. Il nostro scopo è sempre stato quello della cura dell’altro, a prescindere dai colori politici e dalle differenze individuali e anzi, abbiamo sempre fatto tesoro delle differenze trasformando i limiti in possibilità, Il gruppo vuole abbattere i muri ideologici e dare il benvenuto a chiunque non si senta rappresentato o venga censurato in nome della sua nazionalità o religione.

Qual è l’importanza di costruire una rete di professionisti in ambito psicologico, soprattutto in tempi di crisi?

 Fare rete e costruire un dialogo e ingaggiare in discussioni costruttive è la modalità attraverso la quale possiamo migliorarci come professionisti e come esseri umani. In tempi di crisi questo valore si amplifica poiché amplificate risultano anche le ideologie che sono il primo ostacolo ad un progresso che ci permetta di prendersi cura dell’altro con professionalità ed empatia.

Ci sono già iniziative o eventi programmati dal Gruppo per il prossimo futuro? Se sì, quali?

Stiamo programmando alcuni eventi per la primavera prossima, si può rimanere aggiornati tramite il sito internet dell’associazione medica ebraica.

Cosa ti ha spinto a intraprendere una carriera nel campo della psicologia?

Tutto parte dalle persone. Niente ha senso se non diamo un senso e un significato all’animo umano e alle sue declinazioni psichiche. Questo è un lavoro che fa emergere più domande di quanto dia risposte e forse è proprio attraverso le domande giuste che possiamo entrare nel complesso mondo della mente umana.

Quali sono le sfide personali che hai affrontato come professionista, e come le hai superate?

 Umanamente e professionalmente, come tutti, ho affrontato molte sfide ma mi sono state donate anche molte soddisfazioni. Superare le crisi significa non solo affrontarle ma accoglierle e dietro ogni sfida si può nascondere un’opportunità.

In che modo le tue radici culturali e religiose hanno influenzato la pratica psicologica?

L’etica ebraica da sempre si pone in un’ottica di cura dell’altro e di riflessione su se stessi e sugli altri. La continua ricerca e l’impulso a migliorarsi credo sia un riflesso della mia etica ebraica che si declina in ogni ambito della mia vita, anche nel mio lavoro.

Qual è la tua opinione sull’impatto psicologico dei conflitti armati sulla popolazione israeliana?

La popolazione israeliana è una popolazione particolare. Vive nel conflitto da sempre e da sempre ha dimostrato una resilienza tale da essere stupefacente. Vivere ogni giorno nel conflitto, se da una parte può creare grossi traumi, dall’altra spinge continuamente verso la ricerca e lo studio in ogni ambito della vita. La psicologia non fa eccezione e in questo conflitto, come in molti altri del passato, Israele sta letteralmente scrivendo nuovi manuali di psicologia per adattarsi alle sfide del momento.

In che modo la guerra e i conflitti geopolitici influenzano il lavoro degli psicologi in Israele?

Di base ogni perturbazione che avviene nella società che sia a livello geopolitico o specificatamente conflittuale porta a nuove sfide. La psicologia non è solo psicologia dell’individuo ma anche del gruppo e della società e questo porta i professionisti a un livello di approccio sempre nuovo e progressivamente competente.

Cosa pensi dell’importanza del supporto psicologico per i veterani e le famiglie colpite dalla guerra e dal 7/10?

Il supporto psicologico risulta di fondamentale importanza per chiunque abbia subito un trauma diretto o indiretto ed essere preparati e celeri nell’attuare questo tipo di servizio può notevolmente migliorare la qualità della vita delle persone coinvolte.

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