L’arresto dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi e il rischio corso dalla giornalista italiana Cecilia Sala hanno sollevato dubbi e interrogativi sulla gestione della sicurezza e della prevenzione da parte dell’intelligence italiana. Marco Mancini, ex alto dirigente dei servizi segreti, ha espresso in un’intervista la sua opinione critica sulla vicenda, sottolineando la necessità di un approccio più strategico e coordinato.
L’arresto a Malpensa: un’operazione affrettata?
Il 16 dicembre, Najafabadi è stato arrestato all’aeroporto di Malpensa su richiesta degli Stati Uniti, che lo accusano di associazione per delinquere e supporto a organizzazioni terroristiche. Mancini spiega come l’ingegnere, sospettato di operare per i pasdaràn iraniani, le Guardie della Rivoluzione Islamica, fosse parte di una rete capillare dedicata al reperimento di componenti per droni ed elicotteri militari.
Secondo Mancini, sebbene il mandato fosse chiaro, l’operazione è stata condotta con eccessiva rapidità, impedendo di ricostruire i legami e i contatti di Najafabadi in Italia e in Svizzera. “Un arresto posticipato di qualche ora o giorno avrebbe potuto consentire di individuare e smantellare una rete più ampia di collaboratori”, sostiene l’ex agente.
Cecilia Sala: un bersaglio non protetto?
L’altro nodo cruciale della vicenda riguarda Cecilia Sala, giornalista italiana nota per il suo impegno a favore dei diritti delle donne iraniane. Mancini ritiene che Sala fosse già un target dei pasdaràn e che l’intelligence italiana avrebbe dovuto proteggerla meglio.
“Quando ha richiesto il visto come giornalista, la sua domanda è stata probabilmente esaminata direttamente dalla sezione dei pasdaràn che monitora chi è critico nei confronti del regime. Era già esposta e sarebbe dovuta essere evacuata immediatamente dopo l’arresto di Najafabadi,” spiega Mancini.
Secondo l’ex dirigente, sarebbe stato possibile trasferirla rapidamente in un luogo sicuro come Baghdad o la Turchia, anche con un volo privato. Il mancato intervento nei due giorni successivi all’arresto dell’iraniano, quando Sala è diventata un obiettivo sempre più probabile, rappresenta un grave errore di prevenzione.
Dubbi sul coordinamento con gli Stati Uniti
Un altro aspetto evidenziato da Mancini riguarda il coordinamento tra i servizi segreti italiani e quelli statunitensi. Mancini nota come l’arresto sia stato gestito direttamente dalla polizia di Stato, senza un coinvolgimento visibile dell’intelligence italiana.
Questo dettaglio solleva dubbi sulla fiducia reciproca tra le due nazioni, soprattutto dopo il controverso caso Artem Uss, che ha mostrato falle nel sistema di sicurezza italiano. “Se gli americani hanno avvisato solo la polizia e non i servizi italiani, potremmo trovarci di fronte a un problema di credibilità,” afferma Mancini.
Un’occasione mancata e nuovi rischi
L’arresto di Najafabadi, secondo Mancini, rappresenta un’occasione mancata per approfondire le indagini e colpire un’intera rete terroristica, anziché limitarsi alla cattura di un singolo individuo. Inoltre, pone Cecilia Sala in una situazione di ulteriore vulnerabilità, soprattutto ora che, secondo Mancini, a Teheran potrebbero costruire prove d’accusa contro di lei.
La decisione sulla richiesta di estradizione negli Stati Uniti, che spetta al ministro della Giustizia Carlo Nordio, sarà cruciale per determinare i futuri sviluppi di questa vicenda. Nel frattempo, Mancini invita a una riflessione più ampia sulla gestione della sicurezza e sulla necessità di operazioni più mirate per prevenire minacce internazionali.