Parabola discendente di una famiglia dell’alta borghesia americana. Gli Amberson sono una delle dinastie più rispettate e ammirate finche un lutto non cambierà tutto. La primogenita rimasta vedova vorrebbe sposare il suo amore di gioventù ma i ruoli non lo permettono. Il figlio, dopo la morte del padre, vorrebbe una mamma in lutto perenne e dedita solo a lui. Viziato e senza scrupoli, trascina la madre a Parigi permettendole di tornare a casa solo per morire. La donna, schiava del suo ruolo, non riuscirà mai a vivere come avrebbe voluto. Nel frattempo la famiglia subisce un tracollo finanziario e il giovane rampollo è atteso da una realtà che non aveva mai conosciuto.
L’orgoglio degli Amberson è un film del 1946 diretto da Orson Welles. Tratto da un romanzo vincitore del Pulitzer è un lavoro epico che conferma il talento visionario del regista. Tagliato dalla produzione in maniera arbitraria rimane, nei suoi 88 minuti, l’epopea corale di una famiglia che sintetizza un pezzo di storia Americana. Nonostante il massacro al montaggio è ammaliante sotto molti punti di vista. Ad una regia che gioca sulle profondità e sui chiaroscuri vanno aggiunti dialoghi carichi di spessore umano e una serie di immagini costruite come fossero veri e propri dipinti.
Welles riesce a far respirare le atmosfere del sud di fine ottocento con la loro fulgida lentezza mostrando gli inizi di quell’industrializzazione che avrebbe cambiato le vite. Dopo Citizen Kane il regista abbraccia un ritmo meno compiaciuto ma non dimentica i dettagli necessari a dipingere la scena. Dai balli eleganti e l’invidia gli Amberson passeranno ad un’indigenza inattesa per la loro incapacità di rinnovarsi. L’Orgoglio rimane uno dei primi esempi di racconto del passaggio di epoche, tempi che finiscono e ricominciano solo a morte dichiarata. È l’avvento dell’automobile a rappresentare l’inizio dei novecento dove nuovi imprenditori si sostituiscono alle famiglie blasonate, ma è il sentimento a non morire. Un lavoro a metà che non perde fascino a tal punto da far ipotizzare cosa sarebbe stato nelle mani di Welles (montaggio) con i suoi 133 minuti.