I primi droni sono comparsi sulla scena per la prima volta nel 1999, in occasione della guerra nei Balcani. Servivano semplicemente a scopi di ricognizione, come “telecamere volanti”. Successivamente i droni sono divenuti veri e propri sistemi d’arma: anche il nostro Paese li mandava insieme ai velivoli da caccia ad illuminare i target da colpire. Il 4 febbraio del 2002, nei pressi della città di Khost in Afghanistan, un drone americano lanciava un missile Hellfire contro tre uomini, uccidendoli. Si tratta del primo attacco effettuato da un velivolo a pilotaggio remoto. Il drone era sulle tracce di Bin Laden, ma con ogni probabilità le vittime non erano terroristi, ma uomini intenti a recuperare metallo. Quel giorno cominciò l’epoca dei droni militari. Da allora le potenzialità dei droni come strumenti di guerra si sono evolute immensamente ed oggi anche l’Italia dispone di sistemi sofisticatissimi come i Predator B.
Il Predator B (General Atomics MQ-9 Reaper) è un aeromobile a pilotaggio remoto sviluppato dalla General Atomics Aeronautical Systems (GA-ASI) per l’uso alla United States Air Force, l’United States Navy, all’italiana Aeronautica Militare e la britannica Royal Air Force. L’MQ-9 è il primo UAV hunter-killer progettato per la sorveglianza a lunga autonomia, e a elevate altitudini.
Una tecnologia che deve la propria fortuna al moltiplicarsi delle guerre globali, «asimmetriche e a bassa intensità». Sulla scena internazionale, purtroppo o per fortuna, ne stanno apparendo di altri: di fatto, è ancora in corso l’implementazione di questo strumento e insieme alla capacità offensiva si sviluppa anche quella difensiva. I droni in uso alle Forze Armate possono essere distrutti, oppure possono essere intercettati e “dirottati”. Questo va fatto manipolando o disturbando il segnale che, da terra, indirizza questi velivoli verso i loro obiettivi.
Anche l’uso dei piccoli droni civili nelle nostre città è un tasto problematico da affrontare. È importante sottolineare che queste tecnologie stanno diventando una problematica di “sicurezza interna” anche per un altro motivo: sono molto difficili da identificare, costano poco e con un po’ di pratica facili da usare. I droni per videografia e fotografia venduti correntemente hanno dimensioni ridotte e volano ad altezze tali da renderli difficilmente identificabili dai radar e particolarmente difficili da abbattere utilizzando armi convenzionali da parte delle forze di terra.
La tecnologia si è evoluta velocemente, offrendo prodotti sempre più accessibili al consumatore medio. Anche i cosiddetti lupi solitari, se si vuole affrontare anche l’annoso problema terrorismo di matrice jihadista potrebbero beneficiare senza dubbio di questo tipo di strumento per fini terroristici in qualsiasi città europea. Semplici droni giocattolo da poche decine di euro, si sono già resi protagonisti di sfiorate collisioni in volo con aerei di linea in fase di decollo o atterraggio, possono essere convertiti da terroristi, senza grandi difficoltà in ordigni volanti difficilmente intercettabili in grado di colpire obiettivi come centrali nucleari o siti sensibili come luoghi di culto o istituzioni governative.
Rapporto The Hostile Use of Drones by Non-State Actors Against British Targets
https://www.theguardian.com/uk-news/2016/jan/11/drones-terrorist-attacks-security-thinktank
Nei prossimi anni si prevede a livello europeo una crescita del mercato di riferimento.
Corretta è quindi stata la scelta di dare una regolamentazione al settore. A livello legislativo, l’Europa ha cercato di rimanere al passo con l’evoluzione tecnologica senza ostacolare lo sviluppo dell’industria. Per fare ciò, la Commissione Europea ha coinvolto l’Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea (European Aviation Safety Agency – EASA) – di cui fanno parte gli Stati membri dell’UE e dell’EFTA (l’Associazione Europea di Libero Scambio) – nel dibattito sulla nuova regolamentazione europea di settore. Sull’altra sponda dell’Atlantico, gli Stati Uniti si sono già dotati di strumenti legali nazionali, implementati dall’Agenzia Federale per l’Aviazione (Federal Aviation Agency – FAA).
Qual è dunque l’aspetto fondamentale per un Paese come il nostro coinvolto in modo diretto o indiretto in alcune crisi come l’Ucraina, Israele o il fenomeno terrorismo?
Individuazione del pericolo in primis! Oggi l’Italia è inserita nella catena di avvistamento della NATO. Tutta la difesa aerea, se ci focalizziamo sul dispositivo di Difesa Nazionale è sotto il diretto Comando dell’Alleanza Atlantica anche in tempo di Pace, quindi se viene individuata una minaccia non è l’Italia bensì la NATO ad intervenire. C’è solo una deroga a questa situazione: quando cioè si ha la certezza matematica che un velivolo civile o militare che sia trasporti dei terroristi. In questo particolare caso, per ovvi motivi, il nostro Paese può muoversi in modo autonomo attivando i suoi apparati di sicurezza, per terra, per cielo e per mare. E’ vero! possiamo contare su un’eccellente capacità di identificazione delle minacce aeree, ma manteniamo ad oggi, purtroppo, una scarsa capacità di reazione a un attacco missilistico e con droni. E’ una triste realtà, spesso sollevata da eccellenti addetti ai lavori, che dovrebbe far riflettere chi ha il compito di attuare decisioni strategicamente importanti. Fortunatamente non viviamo una situazione di allerta quotidiana, come ad esempio Israele, ma come si diceva in un famoso spot pubblicitario: prevenire è meglio che curare!
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