Donald Trump ha scosso la scena diplomatica con una presa di posizione inequivocabile: imporre dure sanzioni alla Russia qualora non si dimostri pronta a negoziare una pace con l’Ucraina. Attraverso Truth Social, il presidente degli Stati Uniti ha lanciato un monito diretto e senza mezzi termini: “Se non raggiungiamo un ‘accordo’ e in tempi brevi, sarò costretto a imporre alte tasse, dazi e sanzioni su ogni prodotto russo destinato agli Stati Uniti e ad altri Paesi partecipanti”. Un messaggio che non solo alza il tono della tensione internazionale, ma punta il dito contro Mosca con una fermezza che non lascia margini di compromesso.
Le dichiarazioni di Trump hanno subito raccolto diverse reazioni. Kiev ha accolto con favore il cambio di tono. Il ministro degli Esteri ucraino, Andrij Sybiga, ha definito l’uscita del presidente americano “un forte segnale”. Dall’altra parte, il Cremlino ha liquidato la minaccia come priva di concretezza. Dmitrij Peskov, portavoce di Vladimir Putin, ha affermato: “Non vi è nulla di particolarmente nuovo nelle parole di Trump”. Allo stesso modo, Vladimir Solov’ëv, celebre conduttore filo-Cremlino, ha replicato sprezzante: “È forse possibile parlare così con la grande Russia? Stiamo perdendo la guerra? Il nemico è alle porte?”.
Nel frattempo, esperti come Nigel Gould-Davies dell’International Institute for Strategic Studies suggeriscono che queste dichiarazioni possano aver scosso il Cremlino più di quanto Mosca voglia ammettere. Tuttavia, Tat’jana Stanovaja del Carnegie Russia Eurasia Center avverte che Putin considera questo conflitto un “do or die” per la sopravvivenza della Russia, rendendo improbabile una resa immediata.
Gli Stati Uniti dispongono di uno strumento unico: le sanzioni secondarie, che potrebbero colpire anche paesi terzi come Kazakistan, Uzbekistan e Cina, coinvolti indirettamente nel sostenere Mosca. Rachel Ziemba, analista specializzata in economia globale, sottolinea come queste misure potrebbero costringere paesi e aziende a scegliere tra commerci con gli Stati Uniti o con la Russia, aumentando la pressione su Putin. Ma quanto sarebbero efficaci? Le sanzioni più dure dal 2022 non hanno ancora piegato il Cremlino, e l’incertezza resta alta.
Mentre l’Ucraina continua a subire attacchi devastanti, come riportato dalla BBC su recenti incursioni con droni che hanno colpito edifici residenziali nei dintorni di Kiev, l’Europa inizia a interrogarsi sul futuro. Secondo Newsweek, se la Russia spingesse oltre i confini ucraini, i punti critici potrebbero includere il confine tra Finlandia e Russia, le repubbliche baltiche e il corridoio di Suwałki verso Kaliningrad. Anche la Bielorussia, alleata di Mosca, potrebbe diventare un focolaio di tensioni.
Leader europei, tra cui il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius e quello svedese Carl-Oskar Bohlin, hanno espresso forti preoccupazioni per il crescente rischio di escalation. Bohlin, in particolare, ha avvertito che “la guerra potrebbe arrivare in Svezia”, un timore rafforzato dalle parole del comandante delle forze armate svedesi, che ha esortato i cittadini a “prepararsi mentalmente” a scenari potenzialmente drammatici.
Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, ha recentemente affermato: “Putin comprende solo la forza. La nostra debolezza lo provoca”. Durante una conferenza a Bruxelles, Kallas ha rivelato che l’UE ha stanziato finora quasi 50 miliardi di euro in aiuti militari per l’Ucraina, addestrando oltre 75.000 soldati entro febbraio 2025. Tuttavia, ha aggiunto che è fondamentale aumentare le spese per la difesa europea, già ampiamente superate dal budget militare russo.
Secondo DW, l’intelligence europea suggerisce che la Russia potrebbe testare le capacità di difesa dell’UE entro il 2028. Ma quale sarebbe lo scenario se la guerra si estendesse? Il settimanale Newsweek ipotizza che un conflitto diretto tra NATO e Russia potrebbe paralizzare l’Europa orientale e destabilizzare l’intero continente. La Germania, per esempio, già provata economicamente dalla perdita delle forniture energetiche russe, potrebbe trovarsi in una crisi senza precedenti.
Se la NATO non ritirasse la promessa di adesione dell’Ucraina, come richiesto da Mosca, le tensioni potrebbero rapidamente degenerare. Trump, che ha più volte criticato l’eccessivo coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto, potrebbe decidere di ridurre il supporto armato a Kiev, lasciando l’Europa a fronteggiare da sola l’espansione russa. In questo scenario, i confini orientali dell’UE diventerebbero il nuovo teatro di un conflitto su larga scala, con il rischio che paesi come Polonia, Romania e le repubbliche baltiche si trovino direttamente coinvolti. Il risultato sarebbe una crisi umanitaria senza precedenti e un’Europa costretta a una mobilitazione militare di massa per la prima volta dal 1945.
Con la guerra in Ucraina in stallo e la NATO in allerta, l’Europa rischia di trovarsi di fronte a un bivio: evitare un’escalation che potrebbe degenerare in una guerra su ampia scala o affrontare le conseguenze di un coinvolgimento diretto, con il rischio di un uso strategico di armamenti nucleari. Secondo Kaja Kallas, la soluzione per scongiurare scenari drammatici passa dal potenziamento delle difese e dal continuo supporto a Kiev, con l’obiettivo di forzare il Cremlino a considerare seriamente il negoziato.
È evidente che il destino dell’Europa è legato a doppio filo agli sviluppi in Ucraina. La lezione del passato insegna che il compromesso con gli aggressori raramente porta alla pace. Riuscirà il Vecchio Continente a prevenire una catastrofe o si troverà, ancora una volta, sull’orlo del baratro?