Affrontare la mezza età rappresenta lo scoglio più pericoloso. Un giornalista vicino alla cinquantina decide di perdersi senza alcuna necessità di tornare. Dopo aver lasciato la moglie e amante, l’uomo comincia a girare per l’Italia alla ricerca del suo passato. Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini è un film che si forma sull’idea del tempo perduto e dei rimpianti. Il cedimento morale del protagonista viene affrontato con disillusione, cercando un’inutile risposta attraverso la disgregazione della società.
Il momento dove ci si accorge di non essere più in attesa, ma poter solo ricordare è impossibile da gestire serenamente. Ecco allora che le colpe per il disincanto sono da attribuire alla società o a scelte poco oculate. Scritta con Elio Bartolini la sceneggiatura affronta con profondità i tormenti interiori di una generazione senza avvenire.
Gli entusiasmi della ricostruzione sono sopiti e i sentimenti si dissolvono dietro spinte di affermazione personale. Vittorio Borghi (il protagonista), è dilaniato da una crisi di cui è schiavo e da cui non riesce a fuggire. La vita cambia e insieme con lei amicizie e luoghi. Non si può ripetere il passato e il presente va accettato.
Esplicativa in tal senso è la scena in cui il protagonista arriva a Mantova, sua città natale, e consuma qualche momento di allegria con i conoscenti di un tempo. Il gruppo, dopo qualche attimo di ricordi, si palesa indifferente agli interessi un tempo in grado di scaldare gli animi.Un lavoro interessante quello di Vancini , che accarezza i temi politici, raccontando una difficile presa di coscienza . Enrico Maria Salerno riesce a dar corpo a tutte le insicurezze di un uomo alla deriva, con una recitazione di ritmo che si esalta nelle parti più drammatiche. Dopo essere tornato a cercare un passato scomparso, il giornalista termina la sua corsa osservando dei ragazzini aggiustare il juke box di una balera improvvisata. Un film per chi accetta le cose che finiscono.