La recente proposta di Nikol Pashinyan di modificare l’inno e lo stemma dell’Armenia ha scatenato un acceso dibattito politico e culturale. Il governo parla di modernizzazione, l’opposizione grida al tradimento: cedere simboli storici significa forse piegarsi alle pressioni di Turchia e Azerbaigian? Al centro della polemica, il Monte Ararat nello stemma e il messaggio di sacrificio nell’inno nazionale, elementi identitari che potrebbero essere rimossi in nome di una nuova visione del Paese. Ma questa scelta è davvero un passo verso il futuro o il segnale di una resa geopolitica?
Negli ultimi anni, l’Armenia ha vissuto uno dei periodi più drammatici della sua storia recente. La perdita del Nagorno-Karabakh ha segnato una frattura profonda: la regione, abitata in prevalenza da armeni ma riconosciuta internazionalmente come parte dell’Azerbaigian, è stata per decenni il cuore della lotta tra Erevan e Baku. Dopo la vittoria armena nella Prima guerra del Nagorno-Karabakh (1988-1994) e la creazione della Repubblica dell’Artsakh, mai riconosciuta a livello internazionale, nel 2020 l’Azerbaigian, con il massiccio supporto della Turchia e un’avanzata tecnologica basata sui droni, ha riconquistato gran parte del territorio.
Il colpo di grazia è arrivato nel settembre 2023: un’offensiva lampo, una resa senza condizioni. In meno di ventiquattro ore, ogni resistenza armena è crollata, lasciando dietro di sé un territorio svuotato. Più di centomila armeni hanno abbandonato le proprie case, fuggendo verso Erevan in un esodo disperato, mentre la comunità internazionale rimaneva inerte.
Per l’Armenia, questa disfatta è stata più di una sconfitta militare: ha segnato il crollo delle certezze politiche e diplomatiche. Mosca, da sempre considerata alleata strategica, non è intervenuta, lasciando il Paese isolato e vulnerabile. Nel frattempo, la pressione di Turchia e Azerbaigian si è fatta sempre più opprimente, accendendo il timore che il Karabakh non fosse l’ultima concessione, ma solo l’inizio di nuove pretese territoriali.
È in questo contesto che il governo Pashinyan ha annunciato l’intenzione di modificare due pilastri dell’identità nazionale: l’inno e lo stemma. L’inno attuale, Mer Hayrenik (La nostra patria), è una melodia che accompagna il popolo armeno dal 1918 e si conclude con un messaggio di sacrificio e martirio per la patria. Pashinyan ritiene necessario cambiare questo finale: “Non possiamo glorificare la morte, dobbiamo celebrare la grandezza dell’Armenia”, ha dichiarato. Il premier vuole proporre una nuova versione che esprima orgoglio e speranza, allineandosi ai valori di uno Stato moderno e proiettato nel futuro.
Ma l’opposizione vede in questa scelta un segnale di rottura con la tradizione. Secondo i detrattori del governo, modificare il testo significa cancellare un aspetto fondamentale della storia armena, fondata sulla resistenza e sul sacrificio. Alcuni sostengono che dietro questa decisione ci sia una pressione esterna: Turchia e Azerbaigian da tempo denunciano la retorica nazionalista dell’Armenia, e la rimozione di un inno che celebra il sacrificio potrebbe essere letta come una concessione diplomatica.
Ancora più controversa è la proposta di modificare lo stemma nazionale. Il Monte Ararat, simbolo millenario dell’identità armena, è al centro della disputa. Il motivo? Si trova in territorio turco. Il presidente del Parlamento, Alen Simonyan, ha definito lo stemma attuale “anacronistico”, mentre Pashinyan sostiene che rappresenti un “codice errato” che impedisce all’Armenia di guardare avanti.
Per i critici, la possibile rimozione dell’Ararat sarebbe una scelta dettata da esigenze diplomatiche: eliminare un simbolo tanto evocativo significherebbe cedere al revisionismo storico voluto da Ankara. La montagna, infatti, rappresenta non solo un elemento geografico, ma il cuore del sentimento nazionale armeno. Sostituirla con un nuovo simbolo equivarrebbe, per molti, a un’umiliazione.
Cambiare i simboli di una nazione non è mai una decisione neutrale. Negli ultimi anni, il governo Pashinyan ha progressivamente ridotto la dipendenza da Mosca, cercando un nuovo equilibrio geopolitico. L’avvicinamento all’Occidente ha rappresentato una svolta, ma ha lasciato l’Armenia priva di alleati solidi nella regione. Se la Russia non è più un punto di riferimento affidabile e Turchia e Azerbaigian premono ai confini, Erevan deve trovare nuove strategie di sopravvivenza. La modifica dell’inno e dello stemma potrebbe rappresentare un tentativo di costruire un’identità più neutra e meno conflittuale, con l’obiettivo di ridurre le tensioni con i vicini.
Tuttavia, la questione resta aperta: è un passo necessario per una nazione che vuole lasciarsi alle spalle il passato o una resa mascherata da modernizzazione? L’opposizione non ha dubbi e accusa Pashinyan di voler cancellare l’identità armena per compiacere Ankara e Baku. Se l’Armenia sta davvero riscrivendo la propria storia o se sta solo cercando di adattarsi a un nuovo ordine regionale lo dirà il tempo. Ciò che è certo è che ogni cambiamento nei simboli nazionali porta con sé una nuova direzione politica, culturale e identitaria.
Mentre il dibattito infiamma il Paese, una domanda rimane sospesa nell’aria: l’Armenia sta cercando di voltare pagina o sta cedendo sotto il peso delle pressioni esterne? La risposta potrebbe definire il futuro della nazione.
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