La tragedia del Medio Oriente

“Per fare l’Italia bisogna disfare le sette”, scriveva Ugo Foscolo. Questa indicazione vale più che mai per molte nazioni mediorientali. Alcuni Paesi mediorientali sono un crogiolo in cui convivono molteplici appartenenze etniche e religiose: per le etnie citiamo alla rinfusa Drusi, Curdi, Arabi, Azeri, Turchi, Circassi, Assiri, Berberi, Persiani… accanto a questa diversificazione etnica stanno le diversificazioni religiose: ebrei, cristiani, zoroastriani, musulmani sunniti, musulmani sciiti eccetera, (lasciando da parte le varianti all’interno delle varie confessioni: ismailiti, alawiti, ortodossi, cattolici, haredi e via discorrendo).

Avere un’identità è fondamentale per ogni essere umano, e la politica a volte cerca di farsi forte promettendo di rappresentare meglio questa o quella identità. Per esempio, l’identità di alcune minoranze sociali che si sentono discriminate oppure l’identità di una maggioranza silenziosa che si presume trascurata. Una politica che si appropria di una base identitaria è sempre e necessariamente una politica polarizzante. Su questo argomento Francis Fukuyama ha sviluppato riflessioni profonde a cui rimandiamo il lettore qualora fosse interessato.

In Medio Oriente, la coesistenza di appartenenze, e dunque di identità diverse, rappresenta una tragedia; soprattutto quando queste diverse identità sono su base religiosa. Ad esempio, uno sciita libanese verrà educato in una scuola sciita (dove, fin dai primi anni di età gli verrà spiegata l’ingiustizia subita dal Partito di Alì e la Strage di Karbala); poi troverà lavoro grazie alle solidarietà sciite, sposerà una donna della sua stessa religione, abiterà in un quartiere sciita e voterà un partito politico sciita. Lo stesso vale per i sunniti e per i cristiani. Questa divisione settaria è prima di tutto una tragedia economica. Il cittadino non si identifica con lo Stato ma con la propria setta di appartenenza, e i rappresentanti politici delle varie aree religiose faranno a gara per contendersi il massimo dei benefici statali; ogni istituzione, ogni opera pubblica, ogni iniziativa economica sarà contrattata inesauribilmente, tra ostruzionismi e creazioni di alleanze variabili; ogni ente pubblico sarà minuziosamente parcellizzato tra le varie componenti religiose del Paese: dall’Esercito alla Società per la raccolta rifiuti. Una nazione costruita su queste basi non può funzionare economicamente.

La lotta tra appartenenze diverse può facilmente sfociare nella violenza. Questo rende i Paesi del Medio Oriente, dove maggiore è l’equilibrio percentuale tra le varie componenti religiose, una facile preda per attori statali esterni. Ciascuna setta chiederà l’aiuto del suo Paese di riferimento. Per i sunniti la Turchia o gli Stati del Golfo, per gli sciiti il Paese di riferimento è l’Iran. È un ottima maniera per essere “divorati” dalle Nazioni che “generosamente sono venute in aiuto”, e per trasformarsi negli Stati vassalli di questa o quella potenza. C’è di peggio: la fragilità intrinseca dei Paesi divisi su base settaria li fa diventare facilmente il campo di battaglia perfetto per guerre tra Grandi e piccole Potenze che cercano di guadagnarsi la supremazia regionale o si muovono a tutto campo sulla scacchiera mondiale.

La creazione di giovani Stati percorsi da insanabili fratture settarie è uno dei motivi per i quali il Medio Oriente allargato è diventato un inesauribile produttore di guerra. Si badi bene: non importa se il Capo di questo o quel Paese, di questa o quella milizia, sia davvero un fervente religioso. Magari traffica in captagon, ama il cognac ed ha un tesoretto in Svizzera; ma ciò che qui conta è la base sociale che gli permette questi vizi privati; una base sociale educata a un’appartenenza e a un dovere religioso che in Medio Oriente è forte, Tanto forte come in Europa è stato alcuni secoli fa, tanto forte come ormai in Europa non sappiamo nemmeno più immaginare.

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