La Tecnica della disinformazione nella Scuola

di Andrea Atzeni

Per farsi un’idea di come certe tematiche sono affrontate nel mondo della scuola può essere utile dare un’occhiata alla testata on line La Tecnica della Scuola, molto seguita dagli insegnanti di ogni ordine e grado. Lo sfondo è fatto di ingenui proclami al disarmo unilaterale che finiscono per demonizzare le forze di difesa e chi ci lavora. Qualche articolo recente: “Militari nelle scuole e studenti nelle caserme. Perché? Secondo quale modello educativo?”; “Propaganda per l’arruolamento e zaini griffati Folgore. Accettabile il militarismo a scuola?”; “Nasce l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole: la scuola va protetta dalla logica del mercato e delle armi”; “Gita scolastica a base militare di Ghedi, docenti scrivono lettera di protesta: pericolosa proliferazione di proposte simili”.

Negli ultimi mesi si sono poi fatte frequenti le cronache circa un presunto accanimento israeliano contro i bambini palestinesi. Tra gli ultimi titoli: “Onu: I traumi dei bambini palestinesi sono una macchia per l’umanità”; “Gaza, attacco ad una scuola: 25 morti tra studenti e docenti”; “Save the Children: a Gaza uccisi finora 10mila bambini”; “A Gaza distrutta la scuola: quale crimine ha commesso?”; “Gaza e cessate il fuoco, quando dispersione scolastica e posizioni politiche si intrecciano”; “Save the Children: i bambini di Gaza muoiono per mancanza di cibo”.

Non solo è tutto decontestualizzato, nessuna attenzione è mai stata dedicata ai massacri del 7 ottobre, neppure ai bambini israeliani stuprati, torturati e decapitati, a quelli che sono ancora ostaggi nelle mani dei terroristi, a quelli che, pur sopravvissuti, hanno dovuto lasciare le loro case e scuole, o quel che ne resta, per i continui lanci di missili da parte dei terroristi.

Tesi piuttosto impegnative emergono spesso in modo indiretto, nell’ambito di quelle che, almeno in apparenza, sono trattazioni dei problemi della scuola. Così, per esempio, Giovanna Lo Presti parte dalle vicende di alcuni studenti nostrani, quelli che si sono scontrati con le forze dell’ordine durante le manifestazioni contro Israele, per giungere a sminuire e quasi giustificare il pogrom tramite tipica inversione delle cause e delle colpe, sotto il rassicurante titolo La scuola deve dire “no” alla guerra:

“Esaminiamo le ragioni della protesta odierna: si chiede di porre fine al massacro che dal 7 di ottobre 2023 vede come oggetto la popolazione palestinese. Oh, scusate: dovevo premettere che il 7 ottobre Hamas aveva colpito Israele con un attacco che aveva causato circa 1.400 vittime tra civili e militari e portato alla cattura di 240 ostaggi… Ma, scusate ancora, avevo dimenticato di specificare come si vivesse in Palestina prima del 7 ottobre 2023: «Dagli anni novanta la popolazione palestinese non era più in grado di muoversi liberamente. Dal 2006 l’introduzione di un blocco israeliano contro Hamas ha peggiorato la situazione. Le conseguenze economiche sono state catastrofiche: disoccupazione, dipendenza dagli aiuti internazionali, difficoltà a ottenere cure mediche e infrastrutture fondamentali regolarmente distrutte dalle guerre». Insomma, in Palestina si dovevano sopportare angherie quotidiane e da molto tempo. Persino Giulio Andreotti aveva avuto modo di affermare nel 2006: «Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista». L’orrore di 30.000 vittime civili (chissà quante saranno davvero) supera l’orrore dell’attacco di Hamas, anche se qualcuno è convinto che non possiamo parlare delle vittime palestinesi senza ricordare il diritto di Israele ad esistere e difendersi”.

Pochi giorni fa invece Pasquale Almirante ha voluto pubblicizzare una improbabile mostra: I bimbi palestinesi del campo profughi disegnano le loro paure. Ho pensato fosse utile inviare alcune note alla redazione, ma nessuno si è degnato neppure di rispondermi. Forse certi fatti e certe opinioni non vanno divulgati, specie tra i docenti e gli studenti.

Segnalavo anzitutto come non possano non lasciare perplessi le questioni poste: “Come è possibile immaginare un futuro in mezzo alle macerie? Come possono gli occhi di un bambino elaborare l’orrore e continuare a nutrire una speranza per un domani migliore? Quale futuro attende i giovani?”. Infatti, a quanto si legge, gli autori delle opere vivono nel “campo profughi Dheisheh alla periferia di Betlemme”. Stanno cioè nei territori sotto il completo controllo dell’ANP: ogni orrore e disperazione di questi bambini è allora anzitutto responsabilità del dittatore palestinese Mahmud Abbas, o Abu Mazen, e dei suoi accoliti. Più in generale è assurdo che in terra palestinese e sotto l’autorità palestinese ci siano ancora campi di cosiddetti “profughi palestinesi”, discendenti di rifugiati della guerra del 1948, scatenata dagli arabi per sterminare gli ebrei e soffocare sul nascere lo stato di Israele. Sarebbe un po’ come se in Italia avessimo ancora oggi campi di esuli italiani da Zara, Pola o Fiume, bambini compresi.

Più in particolare, la frase “Come è possibile immaginare un futuro in mezzo alle macerie?” è del tutto priva di senso: tra quali macerie vivrebbero questi bambini? L’articolo inizia richiamando la situazione di Gaza, ma Betlemme non sta a Gaza e questi bambini non provengono da Gaza, sono nati e sempre vissuti in Cisgiordania.

Leggiamo comunque che secondo l’UNRWA sarebbero “almeno 14mila i bambini tra morti e dispersi, un numero che in poco più di 4 mesi a Gaza è superiore al numero di bambini uccisi in 4 anni di guerra in tutto il mondo”. Questi dati tuttavia provengono direttamente da Hamas (da suo “Ministero della Salute”, per essere precisi), l’organizzazione terroristica che governava Gaza fino al 7 ottobre, quando ha dato inizio alla nuova guerra con le modalità più inumane possibili. Sono numeri del tutto fantasiosi, come hanno mostrato, tra gli altri, Abraham Wyner, Ira Straus, Gabriel Epstein, David Leonhardt, John Spencer, Chaim Lax, alle cui pagine ho rinviato.

Ho aggiunto che non deve stupire se l’UNRWA spaccia quelle cifre come vere: quasi 1500 dipendenti ONU sono al servizio di Hamas, oltre 450 dipendenti UNRWA parteciparono al pogrom del 7 ottobre (ci sono scambi di messaggi e registrazioni di conversazioni in cui se ne congratulano allegramente), dodici di questi compaiono persino nei filmati delle stragi girate dagli stessi terroristi.

Ho pure notato che, tramite i due link presenti nell’articolo, è possibile scorgere alcune delle opere esposte. È evidente che gli artisti bambini sono stati manipolati da maestri faziosi, magari proprio dell’UNRWA: numerosi disegni rappresentano una “Palestina” unita, “dal fiume al mare”, tutta araba (in alcuni casi antropomorfizzata come una madrepatria con kefiah e piccolo shahid tra le braccia). Insomma, si prospetta ancora una volta la distruzione dello stato di Israele con cancellazione totale della presenza ebraica.

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