La strage di Ustica e le verità scomode. Intervista al Prof. Gregory Alegi

Prof. Alegi, con la morte del giornalista Andrea Purgatori sono riesplose le polemiche sulla strage di Ustica che lei ha trattato anche in un recente libro scritto con il Generale Leonardo Tricarico dal titolo: “Ustica, un’ingiustizia civile” ( edito da Rubettino). Andrea Purgatori ha sempre promosso la narrazione della battaglia nei cieli rivelatasi poi del tutto infondata dai tribunali. Nonostante questo buona parte della stampa e il senatore Daria Bonfietti Presidente Associazione Parenti Vittime della Strage di Ustica non hanno mai smesso di veicolare questa rappresentazione accusando voi dell’Associazione per la Verità sul Disastro Aereo di Ustica (AVDAU), di diffondere falsità e persino di essere manovrati politicamente.

 

Perché nemmeno davanti alle evidenze processuali non si vuole accettare che quella notte non ci fu nessuna battaglia aerea?

Per l’opinione pubblica la spiegazione è semplice: per anni è stata proposta una lettura a senso unico, sia pur declinata in oltre 30 versioni, con la demonizzazione di chiunque non l’accettasse. Per quanto riguarda i grandi protagonisti mediatici della fase istruttoria, non sono certo io il loro portavoce. Non escluderei la difficoltà psicologica di ammettere di aver dedicato oltre metà della vita e carriera a un colossale abbaglio. Sta di fatto che i processi penali hanno riconosciuto che i militari non mentivano sulla battaglia aerea che non c’è stata.

Che interessi ci sono?

Non credo molto agli interessi economici: la responsabilità civile dello Stato per non aver saputo proteggere il traffico aereo non cambia tra missile e bomba – al massimo al posto della Difesa pagherebbe il ministero dell’Interno. Un altro conto è la partita politico-istituzionale, dalla responsabilità per l’accordo con i palestinesi (e non cambia molto se fosse di Moro o Andreotti, se autonomo o concertato con altri paesi europei) fino all’istinto di autoconservazione degli apparati che quella strada avevano suggerito, applicato e continuato a sostenere anche dopo le sue ripetute violazioni da parte palestinese. C’è poi la battaglia culturale tra quanti vedono in Ustica un complotto atlantista e chi, al contrario, la inserisce nell’attacco contro occidente e democrazie. Mi chiedo, peraltro, quanto queste battaglie siano attuali nel 2023. A me interessa solo raccontare «le cose così come sono andate», secondo il difficile obbiettivo che si poneva von Ranke.

Il teorema portato avanti per anni da Andrea Purgatori e dall’Associazione Parenti Vittime della Strage di Ustica si poggiava anche sul ritrovamento del Mig libico sui monti della Sila. Come andò davvero?

Il MiG-23MS cadde sulla Sila il 18 luglio 1980, tre settimane dopo la distruzione del DC-9. Per retrodatarne la caduta si arrivò a immaginare che il cadavere del pilota fosse stato conservato nel frigorifero di una base italiana: una cosa tanto inverosimile che non è difficile capire perché al processo la stessa pubblica accusa abbia ammesso che il MiG con Ustica non c’entrava niente. La cosa più triste è che la stessa conclusione era stata raggiunta dal tribunale di Crotone già nel marzo 1989, un anno e mezzo prima che Priore prendesse in mano il caso. Purtroppo per tutti, scelse d’ignorarla, allungando i tempi e avvelenando la discussione pubblica.

La verità è che il 27 giugno 1980 il DC-9 dell’Itavia esplose nei cieli di Ustica a causa di una bomba collocata nella toilette posteriore?

Durante l’infinita istruttoria la cosiddetta Commissione Misiti, cioè il collegio peritale d’ufficio nominato dallo stesso Priore, concluse all’unanimità che il DC-9 fu distrutto da una bomba nella toilette. Alla base stavano evidenze fisiche compatibili solo con una bomba, dal lavabo accartocciato e traforato al tubo di risciacquo appiattito da una pressione di 392 kg/cm2. La stessa improvvisa avaria elettrica generale, avvenuta in pochi millisecondi, e la separazione dei motori dalla fusoliera indicavano un’esplosione interna nella zona di coda. Sul relitto non ci sono tracce fisiche del missile (le migliaia di schegge in cui si frantumano le teste di guerra, per capirci) e durante il processo è stato dimostrato che l’ipotesi della quasi collisione era basata su calcoli errati (spostamento d’aria tre volte superiore al reale, strutture tre volte più deboli). Si aggiunga che le perizie radar hanno accertato l’assenza di altri velivoli entro 50-60 miglia dal DC-9, e si capirà perché in 43 anni la pista della battaglia aerea non abbia dato frutti concreti. Francia e Gran Bretagna, che hanno accettato le risultanze che emergevano dai relitti del DC-10 e del Boeing 747 distrutti nel 1984-88, sanno da tempo nomi e cognomi dei responsabili delle loro 440 vittime. È eresia chiedersi se anche noi avremmo saputo identificare chi uccise 81 italiani, se non si fosse indagato a senso unico?

Gregory Alegi, storico e giornalista, insegna a contratto History and Politics of the USA l’università LUISS e Studi strategici presso l’Università degli Studi Internazionali. (UNINT). Esperto di difesa e strategia, ha insegnato per vent’anni Storia Aeronautica nel corso di laurea in Scienze Aeronautiche dell’Accademia e Basic Aeronautics nell’Aviation MBA di LUISS Business School. È autore di numerosi libri e saggi, tra cui La storia dell’Aeronautica Militare: la nascita, vincitore del premio letterario aerospaziale 2016. Ha pubblicato di recente “Il sistema politico degli Stati Uniti (1787-2021)”, nel volume Storia dei sistemi politici del XXI secolo (a cura di G. Cerchia e G. Pardini), e Ustica: un’ingiustizia civile (con L. Tricarico). Tra i fondatori della museologia aeronautica in Italia, è curatore dei velivoli di Volandia, il museo del volo vicino Malpensa.

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