Colpisce l’inaugurazione in Russia di nuovi monumenti a Stalin (uno dei quali clamorosamente benedetto da un prete ortodosso), ed i sondaggi che riportano come questo dittatore abbia ora un gradimento pari al 50% tra i russi intervistati. Fa inoltre scalpore l’installazione di una statua di Felix Dzerzhinsky – fondatore della Cheka–OGPU e uomo simbolo del Terrore Rosso – davanti alla sede dei Servizi Segreti Esteri, un inequivocabile “gesto di riparazione” per l’abbattimento della grande statua di Dzerzhinsky – che all’epoca troneggiava in Piazza della Lubjanka, di fronte alla sede del KGB – ad opera dei manifestanti democratici il 23 agosto 1991. Cosa accade in Russia? Perché un così terribile passato ritorna? Proviamo a dare qualche risposta.
UN’IDENTITÀ’ PERDUTA
Agli albori degli anni ’90 la Russia cessa di essere la Nazione-guida del comunismo mondiale. Se il contagio con il mondo democratico fa precipitare il Paese in un periodo di violente lotte per il potere, il modo dissennato con cui viene introdotta l’economia di mercato (la “terapia schock” di Anatoly Chubais) dà il colpo di grazia alla sua già devastata economia. L’epoca di Boris Eltsin si chiude con una Russia affamata, umiliata, divorata dai pescicani di un capitalismo d’assalto che si comprano – letteralmente – a prezzi di saldo l’intera struttura industriale della ex-Unione Sovietica.Era nell’ordine delle cose che la maggior parte dei russi a quel punto identificasse la democrazia liberale, per come loro l’avevano vissuta, con il disastro.
Sempre in quei fatidici anni ’90, il referendum ucraino con il quale circa il 91% dei votanti si pronuncerà a favore dell’indipendenza dall’Unione Sovietica (affluenza ai seggi 84,18%) porterà allo scioglimento dell’URSS. Non più comunista, non più a capo di una grande unione di repubbliche ma non democratica: al sorgere dell’anno 2000 la Russia si ritrova senza identità.Negli anni successivi, ripresasi dal disastro economico, la Russia ha cercato di ricostruire una sua identità sotto la guida di Vladmir Vladimirovich Putin; e lo ha fatto con la testa rivolta al passato. Ritrovare un raccordo con il passato comunista non era possibile, la collettivizzazione e l’economia pianificata avevano portato il Paese nel baratro. Due fondamentali elementi di continuità storica erano però pronti all’uso: l’impero e l’autocrazia e – si noti bene – a questi elementi il periodo comunista della storia Russa non faceva eccezione. Quando Putin, per riferirsi al periodo sovietico, usa l’allocuzione: “La Russia storica conosciuta come URSS” riannoda un filo rosso che si dipana lungo tutta la storia del Paese.
LA VOCAZIONE IMPERIALE
Quando, nel XIV secolo, il Granducato di Moscovia – le armi in pugno – si libera dei suoi padroni e cessa di essere un regno post-mongolo, il suo autonomo divenire si caratterizza subito con una precisa specificità: l’espansionismo. C’è qualcosa di stupefacente nella velocità con la quale la piccola Moscovia riesce a conquistare nuovi territori e nuovi popoli, estendendosi infine dal Mar Baltico all’Oceano Pacifico. Dalla presa dei khanati di Kazan ed Astrakan, alla colonizzazione della Siberia, dalla sconfitta degli svedesi all’abbattimento della confederazione polacco-lituana, sino al ridimensionamento dell’Impero ottomano sul Mar Nero, la storia russa si identifica con le sue conquiste. Si può dire che i russi sono stati da tempo immemore un impero, mai una nazione. E’ questa vocazione imperiale che Putin ha riportato in auge. A questa vocazione si collega un altro elemento costante della storia russa: l’autocrazia. Sin dalle origini la Russia ha sempre e solo avuto uno Stato forte e centralizzato, guidato da uno Zar che era il possessore di tutto ciò che era contenuto nel suo regno: uomini e cose. La nobiltà russa non aveva il diritto ereditario sulle terre che possedeva, se lo Zar lo avesse deciso i possedimenti dei boiardi sarebbero ritornati a lui. Nella Russia di Putin a vocazione autocratica i governanti del passato sono giudicati di fronte alla storia soltanto da una caratteristica: l’aver saputo tenere la nazione con mano ferma oppure no. Che poi fossero pazzi assassini genocidi questo è un dettaglio secondario (come ha detto Putin: “Nella storia di tutti gli stati ci sono degli errori”); in questa logica Stalin è stato positivo per la storia russa così come Pietro il Grande e Caterina II, Gorbaciov invece è una figura negativa, ed anche Eltsin, e certamente anche Nikita Khrushchev, che denunciando i crimini di Stalin ha indebolito l’immagine della nazione; anche Lenin non può entrare nel Pantheon putiniano: dando gli stessi diritti della Russia alle altre Repubbliche Socialiste ha determinato il collasso dell’impero (in quel frangente storico: “sovietico”), e questo Putin non può perdonarlo.
L’IMPERO CONSERVATORE
L’impero russo degli zar ha sempre avuto una connotazione: essere il conservatore della tradizione ed esserlo in opposizione all’occidente.
Per i russi essere cristiani ha sempre e solo significato essere ortodossi. Non hanno conosciuto gli scismi che hanno dilaniato il resto d’Europa nell’Età Moderna (e, per converso, sono stati tagliati fuori dalla ricchezza di idee, dalle polemiche, dalle riflessioni, dalle differenti visioni del mondo che in quei secoli sono andate scontrandosi). L’impero degli zar si è dunque autoproclamato erede di Bisanzio, difensore e tenutario della vera chiesa cristiana e della sua più autentica tradizione, e lo ha fatto in opposizione ad un occidente che aveva perso la retta via. Gli echi di questo atteggiamento si ritrovano nella Russia di Putin, sia nella vistosa “conversione” di Vladimir Vladimirovich alla fede ed alla chiesa ortodossa (dove i gay pride sono considerati la celebrazione del peccato di sodomia), sia nella costante e pubblica riaffermazione della famiglia tradizionale e della separazione delle appartenenze sessuali, visti come valori da difendere di fronte ad un occidente in piena decadenza morale. Così ancora una volta la Russia ritrova un elemento di continuità identitaria: la Russia si è sempre concepita in opposizione ad un occidente corrotto; corrotto moralmente: prima e dopo la fase comunista, corrotto dal capitalismo nella fase marxista della sua storia. Solo alla luce di tutto questo si può comprendere l’incredibile (almeno per noi) frase che Putin ha pronunciato pubblicamente riferendosi a quello che lui chiama l’occidente collettivo: “Di là c’è il satanismo assoluto”.
IL NOCCIOLO DURO DELLO STATO RUSSO
Nel ricostruire l’identità russa secondo la tradizione imperiale, Putin ha definito anche quali debbano essere i confini politico-culturali di uno “Stato Russo” – inteso come unità fondamentale, basilare, della nazione – ed ha trovato ispirazione nel panslavismo. I panslavisti sostengono l’esistenza di una specifica civiltà, cultura e spiritualità slava che si riverbera in uno spazio comune che non può e non deve essere frantumato e che i Russi sono destinati a guidare. I popoli slavi che – secondo i panslavisti – rappresentano “un unico popolo” a guida russa sono i Grandi Russi (la Russia), i Piccoli Russi (l’Ucraina), ed i Russi Bianchi (la Bielorussia).
La missione storica che Putin si è assegnato è la conservazione di questo “spazio culturale e spirituale”, lo ha spiegato bene in chiusura del lungo saggio che scrisse nel luglio 2021 (“Sull’unità storica di russi e ucraini”) e che rappresenta la radice intellettuale della guerra d’invasione scatenata in Ucraina. In conclusione alle sue analisi Putin costruisce una specie di compromesso tra l’idea panslava ed il principio sovietico delle Repubbliche Unite, dicendoci che – se proprio insistono – gli ucraini possono continuare ad esistere in una “Repubblica Ucraina”, ma possono farlo solo “in partnership con la Russia”, perché “russi e ucraini sono un unico popolo”.
ANCORA UNA VOLTA: L’IDEOLOGIA
Siamo dunque di fronte ad un’aggressione la cui natura è ideologica, tutto ciò che sta accadendo non ha nulla a che vedere con l’economia, con la minaccia della NATO, con le preoccupazioni difensive russe, e per converso neppure con la nostaglia dell’URSS. Putin sta combattendo per costruire l’identità della Russia stessa, una Russia che per lui deve essere slava, ortodossa, imperiale, autocratica.
Ancora una volta Mosca diventa il braccio armato di un sistema di idee per il quale noi siamo il nemico. Anche questo, in fondo, è un connotato storico che ritorna nel nostro conflitto col Cremlino.
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