La piccola e autoproclamata Repubblica dell’Abkhazia è stata travolta da un’ondata di proteste che rischia di stravolgere gli equilibri della regione, da decenni sospesa tra il desiderio di autonomia e il giogo russo. Nelle ultime ore, le strade di Sukhumi, capitale abkhaza, si sono riempite di manifestanti che, stringendo d’assedio i centri del potere, reclamano a gran voce le dimissioni del presidente Aslan Bžania. Ma cosa si cela dietro questo improvviso fermento in un angolo remoto del Caucaso? E perché la comunità internazionale dovrebbe volgere lo sguardo in quella direzione?
Per capire cosa sta accadendo oggi, bisogna ripercorrere la storia. L’Abkhazia proclamò la sua indipendenza dalla Georgia all’inizio degli anni ’90, subito dopo il crollo dell’URSS. Questo portò a un conflitto sanguinoso tra il 1992 e il 1993, con un pesante tributo di vite umane e un esodo forzato di decine di migliaia di persone. In quella fase, Mosca intervenne in aiuto delle forze abkhaze, ampliando la propria influenza su questa regione strategica. Da allora, l’Abkhazia ha vissuto una “indipendenza di fatto”, riconosciuta solo da poche nazioni come Russia, Venezuela e Siria, ma rimasta ufficialmente, agli occhi della comunità internazionale e dell’ONU, parte del territorio georgiano.
Eppure, la realtà dietro questa parvenza di indipendenza è ben diversa. L’Abkhazia rimane fortemente legata a Mosca, sia sul piano economico che militare. Gli aiuti finanziari provenienti dal Cremlino rappresentano una linfa vitale per la regione, mentre la presenza massiccia di truppe russe sul territorio sottolinea chi detenga effettivamente il controllo. La celebre giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, aveva più volte puntato il dito contro il Cremlino, accusandolo di utilizzare i conflitti locali come strumenti per consolidare il proprio potere. Secondo lei, l’Abkhazia era solo uno dei tanti esempi in cui Mosca nascondeva ambizioni imperiali dietro il velo del sostegno all’autodeterminazione.
La crisi è scoppiata quando il governo abkhazo ha annunciato la ratifica di un “accordo di investimento immobiliare“ che consentirebbe ai cittadini russi di acquistare proprietà in Abkhazia. La popolazione teme che ciò rappresenti un passo verso l’annessione de facto da parte di Mosca.
A seguito di questa decisione controversa, la protesta è esplosa con forza: i manifestanti hanno abbattuto le recinzioni e fatto irruzione nel parlamento, accusando il presidente Bžania di svendere il futuro del paese. La seduta è stata bruscamente interrotta e, nonostante il tentativo dell’ufficio presidenziale di calmare le acque promettendo un decreto che annullerebbe l’accordo, la folla inferocita ha continuato a occupare gli edifici governativi, chiedendo le dimissioni immediate di Bžania e il ritorno alle urne. La polizia, intervenuta con gas lacrimogeni, non è riuscita a placare la tensione. Nelle ore successive, l’atmosfera si è fatta ancora più tesa quando esplosioni e colpi d’arma da fuoco hanno risuonato intorno al parlamento, facendo precipitare ulteriormente la situazione.
Nel mezzo della crisi, il canale Telegram D News Abkhazia ha pubblicato un messaggio che getta benzina sul fuoco delle tensioni: “Il ministro degli Interni sta ingannando il proprio personale, affermando che alcuni dei manifestanti intendano, presumibilmente, entrare e liberare qualcuno tra i detenuti. Questo è assolutamente falso. Nessuno ha intenzione di entrare nell’edificio del Ministero degli Interni. Cari membri delle forze dell’ordine, fratelli e sorelle! Vi esortiamo a non eseguire gli ordini illegali di Aslan Bžania. Bžania è un presidente illegittimo, la sua legittimità è terminata ieri. Dovete difendere il vero ordine e la giustizia, stare dalla parte del popolo. La preservazione dello Stato abcaso è il nostro obiettivo e compito più importante”.
Queste dichiarazioni riflettono il clima di sfiducia nei confronti delle autorità, accusate di manipolare la verità per giustificare l’uso della forza contro i manifestanti. La polizia ha tentato di disperdere la folla con gas lacrimogeni, ma ha presto dovuto ritirarsi di fronte all’assalto dei dimostranti, che hanno preso il controllo dell’edificio presidenziale e promesso di rimanervi fino alle dimissioni di Bžania.
La Russia considera l’Abkhazia un’importante zona cuscinetto contro l’influenza occidentale. Tuttavia, un intervento militare diretto potrebbe innescare una reazione a catena nel Caucaso, coinvolgendo regioni come l’Ossezia del Sud o il Nagorno-Karabakh. Il Cremlino osserva con preoccupazione gli eventi, consapevole che una nuova crisi potrebbe complicare ulteriormente la già delicata situazione sul fronte ucraino.
Fonti vicine al Ministero degli Esteri russo hanno dichiarato che Mosca sta seguendo la crisi con “estrema attenzione”, ma è consapevole dei rischi di un intervento militare diretto. Nel frattempo, il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha minacciato di soffocare qualsiasi tentativo di destabilizzazione nel Caucaso “con ogni mezzo necessario”.
Anche la Turchia, che storicamente mantiene legami con l’Abkhazia, potrebbe cercare di approfittare della situazione per rafforzare la propria influenza nel Caucaso meridionale. La presidente georgiana Salome Zurabishvili ha già espresso il proprio sostegno ai manifestanti, affermando che “l’Abkhazia non sarà vittima silenziosa dell’espansione russa”.
In un videomessaggio diffuso a tarda notte, il presidente Bžania ha ribadito che “non si piegherà ai ricatti”, ma le sue parole appaiono sempre più deboli di fronte alla rabbia dei cittadini che scandiscono: “Libertà o morte!”. L’opposizione ha minacciato di assediare la residenza presidenziale se non verranno indette elezioni anticipate entro poche ore.
Il Caucaso è a un passo dal precipizio, con l’Abkhazia che minaccia di diventare il fulcro di una nuova escalation. La vera incognita, ora, è se Mosca riuscirà a disinnescare la situazione senza fare ricorso alla forza militare. Ciò che appare sempre più evidente è che l’Abkhazia, a lungo considerata un semplice tassello sotto il controllo russo, potrebbe trasformarsi in una bomba a orologeria capace di destabilizzare ulteriormente l’intera regione.
Gli occhi del mondo sono puntati su questo angolo del Caucaso: le prossime ore saranno decisive non solo per il destino di questa piccola repubblica, ma anche per l’equilibrio di un’area già profondamente instabile.