Per due volte, nel corso della prima metà del ‘900, centinaia di migliaia di giovani americani hanno dovuto attraversare gli oceani per andare a combattere e a morire affinché la Germania – militarista prima, nazista poi – non affermasse il suo dominio sull’Europa ed il Giappone Imperiale non arrivasse a dominare l’Asia. Questo portò gli strateghi americani a concludere che soltanto in un mondo relativamente democratico e relativamente pacificato gli Stati Uniti sarebbero stati prosperi e sicuri, perché l’illusione di una Fortezza America, intesa come isola felice separata dal resto degli avvenimenti mondiali, non poteva ragionevolmente esistere. Da questa riflessione scaturì la Grande Strategia americana, che è rimasta uguale a se stessa dal 1945 ad oggi e, in termini di deterrenza, si sostanzia nell’impedire che una Grande Potenza ostile possa assumere il controllo dell’Europa, o dell’Asia o dell’area del Golfo Persico. Perché Europa ed Asia sono centri di produzione e di ricchezza ed il Golfo Persico è la cassaforte energetica mondiale.
La Grande Strategia Americana
Oggi però gli Stati Uniti non sono più in grado di supportare economicamente l’impegno militare che la loro Grande Strategia comporta. Negli anni ‘50 gli Stati Uniti spendevano per la difesa una cifra superiore al 10% del Prodotto Interno Lordo, oggi la spesa militare americana il rapporto al PIL si aggira intorno al 3,4%. La Grande Strategia americana si basava, sempre per quanto riguarda la deterrenza, su un preciso standard: l’Esercito degli Stati Uniti d’America doveva essere in grado di combattere due guerre contemporaneamente in luoghi diversi del pianeta. Attualmente questo standard non è più sostenibile per mancanza di fondi.
Nessuno studioso americano di relazioni internazionali – sia quelli che alle prossime elezioni voteranno Trump sia quelli che voteranno Harris – mette in discussione il valore della Grande Strategia concepita all’indomani del 1945, né mette in discussione il fatto che questa Strategia non sia oggi più sostenibile visti i bassi livelli della spesa militare americana. Le differenze iniziano quando si tratta di rispondere all’attuale debolezza americana e possiamo individuare tre grandi linee sulle quali il pensiero strategico statunitense si sta orientando.
Tre grandi linee di pensiero
1) I “Bilanciatori d’oltremare”. L’ “offshore balancing” è un ritorno alla politica americana degli anni ‘20/’30 del secolo scorso. Si sostanzia nel lasciare che gli alleati degli Stati Uniti in Europa e in Asia se la cavino come meglio possono contro i nemici della democrazia – tra le altre cose, ritirando le truppe ed abbandonando le basi statunitensi stanziate in quei continenti e risparmiando così sulla loro costosa gestione – salvo intervenire poi se le potenze avversarie dell’America dovessero arrivare ad essere vicine a prendere il sopravvento in quelle regioni del mondo.
2) Gli “Asia firstener” teorizzano la necessità, viste le difficoltà economiche in materia di difesa, di concentrare tutte le forze degli Stati Uniti nel contenimento della Cina in Asia – che considerano il fronte principale dello scontro tra Grandi Potenze – lasciando ai propri alleati in Europa l’onere di contenere l’imperialismo russo.
3) I “primatisti” – così chiamati dai loro avversari – rappresentano quella corrente di pensiero per la quale gli Stati Uniti non devono venire meno ai dettami della loro tradizionale Grande Strategia.
I cosiddetti “primatisti” oppongono a chi vuole restringere il campo della deterrenza alle coste americane o alla sola Cina la seguente critica: se gli Stati Uniti abbandoneranno al loro destino i loro antichi alleati si ritroveranno da soli ad affrontare qualsiasi sfida futura, sia militare che commerciale che diplomatica; inoltre alcuni tra gli ex-Paesi protetti troveranno più conveniente a quel punto cambiare alleanza e schierarsi con le Potenze che sfidano l’America. Tutto ciò porterà inevitabilmente a declassare gli Stati Uniti al rango di una Potenza regionale in un mondo percorso da una proliferazione nucleare mai vista prima (i Paesi “lasciati soli” cercheranno di procurarsi l’arma atomica come unica soluzione per la loro sopravvivenza).
A tutto ciò sia i promotori dell’offshore balancing che gli “Asia firstener” rispondono mostrando il portafoglio: se i soldi non ci sono qualcosa bisognerà pur fare, ignorare le difficoltà finanziarie americane e far finta di nulla significherebbe giocare un bluff con gli avversari dell’America che potrebbe rivelarsi catastrofico. Ci permettiamo a questo punto di esprimere un paio di opinioni.
Le nostre opinioni
Primo: per difendere la propria egemonia gli Stati Uniti dovrebbero obbligatoriamente portare la loro spesa militare intorno al 6-7% del PIL e per far questo non esistono soluzioni indolori. Aumentare la spesa per armamenti rispetto ai livelli attuali vuol dire aumentare le tasse e tagliare la spesa corrente e questo vale per gli Stati Uniti come vale per qualsiasi altro Paese; ma chi sarà mai quel leader che presenterà, ad un elettorato sempre più anziano, un programma elettorale contenente lo slogan: “meno assistenza e più cannoni”?
Senza contare il fatto che è sempre stato storicamente difficile far accettare l’aumento delle spese militari ad una Nazione che non è (o non si percepisce) in guerra. Secondo: abbiamo iniziato questo articolo dicendo che gli Stati Uniti non sono più in grado di sostenere economicamente la loro supremazia militare mondiale. E’ opinione di chi scrive che i Paesi che sfidano l’egemonia statunitense tutto ciò lo sappiano benissimo.
Per questo la Russia porta la guerra in Europa, per questo l’Iran porta la guerra in Medio-oriente e per questo la Cina minaccia Taiwan e bullizza le Filippine. Nulla è per caso, ed il passaggio da un’epoca di relativa pace e progresso ad un’epoca di distruzione e di sangue può essere un fenomeno anche molto rapido a svilupparsi. L’Europa, nella primavera del 1914, era al culmine di un’epoca che fu poi definita “Bella”, ricca di idee, innovazioni artistiche e scientifiche, fiorente nel commercio internazionale. I “cannoni d’agosto” misero fine a tutto questo in un battibaleno.
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