Il 28 agosto, ad Astana, la capitale del Kazakistan, si è inaugurata la prima fiera internazionale delle tecnologie nucleari, KazAtomExpo, con la partecipazione dei maggiori attori globali del settore. Le aziende provenienti da Francia, Russia, Cina e Corea hanno presentato le loro soluzioni per lo sviluppo dell’energia nucleare in Kazakistan, in vista del prossimo referendum sulle centrali nucleari. Gli esperti ritengono che la costruzione di una centrale nucleare sia essenziale per la sicurezza energetica e un futuro a basse emissioni di carbonio, offrendo una fonte di energia stabile e pulita, con costi prevedibili per circa 60 anni.
Parallelamente, ad Almaty, l’ex capitale, si sta consumando una delle battaglie più intense e controverse degli ultimi anni: la discussione pubblica sul progetto di costruzione di una nuova centrale nucleare. È un tema che da decenni agita l’opinione pubblica kazaka, e che ora, più che mai, mette a confronto due visioni opposte del futuro energetico del paese.
La necessità di nuove fonti energetiche è indubbia. Le riserve di gas naturale del Kazakistan non sono sufficienti a soddisfare il crescente fabbisogno energetico della nazione, e le speranze di importazioni dall’Uzbekistan si scontrano con la realtà: il vicino preferisce vendere il proprio gas alla Cina. “Siamo in una posizione critica”, ha dichiarato Erlan Batyrbekov, direttore del Centro nucleare nazionale della Repubblica del Kazakistan, durante una delle animate assemblee pubbliche, “dobbiamo scegliere se affrontare il futuro con energia atomica, o rimanere intrappolati in una dipendenza energetica dall’estero”, ha infine argomentato.
Al centro del dibattito vi è però un grande scetticismo, alimentato dal sospetto che il progetto sia fortemente sostenuto dalla Russia, un paese con cui il Kazakistan ha storici legami ma che non è visto sempre di buon occhio. “È solo una propaganda a favore di Putin e delle corporazioni nucleari russe”, ha urlato un partecipante durante l’incontro al palazzo Almatygenplan del 26 agosto, dove centinaia di cittadini si sono radunati per esprimere il loro dissenso. I cartelli esposti da alcuni manifestanti non lasciavano spazio a dubbi: “Chi sostiene l’Aes (le centrali nucleari, ndr.) è un nemico del popolo”.
La prospettiva di un referendum nazionale, promesso dal governo per l’autunno, è stata accolta con favore, ma anche con un profondo senso di sfiducia. Molti lo percepiscono più come una manovra politica per calmare gli animi, piuttosto che come un autentico strumento di decisione popolare.
Vi è poi da tener conto del sostegno della Russia: si tratterebbe di un aiuto o di una trappola? La questione delle sovvenzioni russe è indubbiamente delicata. Il coinvolgimento di Mosca è percepito con ambivalenza: da una parte, la Russia è vista come un partner essenziale, capace di fornire le tecnologie nucleari necessarie, dall’altra, c’è il timore che tale collaborazione possa trasformarsi in una nuova forma di dipendenza. Il caso della centrale nucleare Akkuju in Turchia, costruita dalla compagnia russa Rosatom, è spesso citato come un esempio di come i costi possano lievitare ben oltre le aspettative iniziali, lasciando il paese ospitante in una posizione di debolezza economica.
“Non possiamo ignorare la realtà”, ha affermato Timur Žantikin, direttore della compagnia Centrali nucleari del Kazakistan, durante il suo intervento. “Il progetto potrebbe costare tra gli otto e gli undici miliardi di dollari, ma dobbiamo considerare tutti i fattori coinvolti, inclusi i costi a lungo termine e le tariffe energetiche che ne risulteranno”. Un aumento delle tariffe potrebbe gravare ulteriormente su una popolazione già provata da anni di difficoltà economiche.
Dietro alla discussione sulla centrale nucleare c’è anche il peso di un passato che il Kazakistan non può dimenticare. I timori riguardano non solo l’aspetto economico, ma anche la sicurezza ecologica e il possibile impatto di una centrale nucleare su un paese che ha già subito le devastazioni ambientali legate agli esperimenti nucleari sovietici, in particolare nel poligono di Semipalatinsk. Questi test comprendevano esplosioni nucleari atmosferiche, sotterranee e superficiali, molte delle quali rilasciarono quantità significative di radiazioni nell’ambiente.
“Non bisogna temere l’energia nucleare”, ha cercato di rassicurare Sachiev Sajabek Kuanyšbekovič, il direttore generale dell’Istituto di fisica nucleare del Kazakistan, “nel mio laboratorio funziona un reattore sperimentale che da oltre mezzo secolo produce radioisotopi medici, senza incidenti”, ha dichiarato. Tuttavia, queste rassicurazioni non bastano a calmare le paure di molti cittadini, che vedono nella costruzione di una nuova centrale il rischio di una nuova catastrofe ambientale.
Il futuro del Kazakistan, dunque, sembra appeso a un filo. Da una parte c’è la promessa di un’indipendenza energetica, di una modernizzazione del paese che lo potrebbe portare a essere competitivo a livello globale; dall’altra, il timore di rimanere invischiati in un progetto troppo grande, troppo costoso, e soprattutto troppo rischioso per un paese con risorse limitate e una popolazione che si sente sempre più distante dalle decisioni governative.
“Voglio costruirmelo io il mio futuro!”, hanno esclamato i giovani kazachi al meeting, ma la sensazione è che questo futuro sia ancora nebuloso, incerto, in bilico tra speranza e paura. Il referendum di autunno potrebbe dare una risposta, ma solo se sarà davvero il popolo a decidere, senza pressioni, senza influenze esterne, e soprattutto con la consapevolezza di cosa significhi, realmente, scegliere l’energia nucleare come strada per il futuro.