Il rilascio di Najeem Osama Almasri Habish, ex direttore del carcere di Mitiga accusato dalla Corte penale internazionale di crimini di guerra e torture, rappresenta un inquietante cortocircuito tra giustizia e politica. Arrestato a Torino su mandato dell’Aja, Habish è stato scarcerato dalla Corte d’Appello di Roma e immediatamente rimpatriato in Libia su un volo italiano. Il caso getta ombre pesanti sull’efficacia delle istituzioni internazionali e sulla gestione italiana della vicenda.
Mitiga, un simbolo di abusi e silenzi
Habish, figura controversa e accusata di gravi violazioni dei diritti umani, era responsabile del famigerato centro di detenzione di Mitiga a Tripoli, dove abusi e torture erano la norma secondo testimonianze raccolte da ONG e vittime. Nonostante la segnalazione dell’Interpol e l’arresto condotto dalla Digos, l’Italia ha deciso di non trattenere il comandante, rimettendolo in libertà per un vizio procedurale. Questo epilogo evidenzia quanto sia fragile il ruolo della Corte dell’Aja quando i suoi mandati non trovano supporto nei governi nazionali.
Il silenzio del Ministero e il peso della politica
La giustificazione fornita dal ministero di Giustizia italiano, che non avrebbe risposto alla richiesta del procuratore generale di Roma entro i tempi previsti, è sconcertante. Le autorità italiane avrebbero potuto, e dovuto, garantire che un uomo accusato di crimini contro l’umanità fosse trattenuto e giudicato, invece di essere consegnato al suo Paese, dove difficilmente affronterà un processo imparziale.
Un messaggio di debolezza per le vittime
Il rilascio rischia di essere letto come un segnale di indifferenza verso le sofferenze delle vittime e un messaggio di debolezza nei confronti di chi perpetra crimini contro l’umanità. Inoltre, l’Italia, che da anni collabora con la Libia per contrastare le partenze dei migranti, sembra aver privilegiato la stabilità politica con Tripoli a scapito della giustizia.
Le opposizioni puntano il dito
La vicenda ha provocato una reazione durissima delle opposizioni. La segretaria del Pd Elly Schlein ha accusato il governo Meloni di aver tradito i suoi stessi proclami sulla lotta ai trafficanti. Altri, come Nicola Fratoianni e Riccardo Magi, hanno parlato di un atto di complicità nei confronti di torturatori e trafficanti. Le critiche, però, non si limitano alla politica italiana, l’episodio dimostra quanto poco incisiva sia la Corte penale internazionale, che fatica a imporsi di fronte agli interessi nazionali.
Il rischio di una giustizia paralizzata
Questo caso deve far riflettere. Se nemmeno l’Europa è in grado di rispettare e far rispettare i mandati dell’Aja, quale speranza hanno le vittime di ottenere giustizia? L’episodio di Habish è l’emblema di un sistema internazionale che, anziché proteggere i più vulnerabili, piega le ginocchia di fronte a equilibri geopolitici e pressioni esterne.
Un monito per il futuro
La giustizia non può essere una vittima collaterale della diplomazia. Serve un chiarimento immediato da parte del governo italiano, ma soprattutto è urgente rafforzare l’autorità della Corte penale internazionale. Altrimenti, casi come quello di Almasri continueranno a segnare la disfatta di ogni tentativo di proteggere i diritti umani su scala globale