Il bilancio temporaneo degli scontri con i manifestanti filopalestinesi scoppiati sabato 5 ottobre in zona Piramide a Roma è di 30 feriti tra gli appartenenti alle forze dell’ordine, 26 agenti di Polizia e 4 della Guardia di Finanza. Quattro le persone bloccate e accompagnate in Questura. Due di queste sono state denunciate a piede libero per resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Le altre due posizioni sono al vaglio. Sono invece 40 i fogli di via nei confronti di altrettanti manifestanti provenienti da Varese, Livorno, Campobasso, Brindisi, Napoli, Salerno, Torino, Firenze, Milano, Perugia, Modena, Catania, Bari.Scene degne di una guerra civile, con cartelli stradali sradicati e utilizzati come arieti contro la polizia, lanci di oggetti contundenti tra cui pietre di grosse dimensioni, pezzi di ferro, bottiglie di vetro e qualsia altro oggetto reperibile in strada.
Nella piazza della Piramide per tutto il pomeriggio hanno sventolato bandiere palestinesi, iraniane, yemenite e quelle gialle di Hezbollah affianco ai vari gruppi di estrema sinistra come CARC, Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP), OSA, Rete Comunista, Cobas e Potere al Popolo, con ovvia presenza anche dei centri sociali e dei Giovani Palestinesi.Piazza non particolarmente gremita ma dai toni allarmanti fin dalle prime battute, come il rappresentante Cobas di Taranto che ha definito Israele “bestia dell’entità sionista”, ha accusato il governo italiano di essere “complice”, il governo giordano “bastardo traditore”, il Papa “pappagallo”, il ministro Tajani un “miserabile” e ha dichiarato: “…adesso è compito nostro fare pulizia”. Tutte dichiarazioni fatte microfono alla mano affianco di Shoukri Hroub, leader dell’UDAP, che gli aveva conferito parola poco prima.
Un rappresentante dei Giovani Palestinesi ha invece lodato “L’asse della resistenza” (Iran-Hezbollah, Houthi, Hamas). Tra i presenti, anche il CARC (gruppo che si pone l’obiettivo di rovesciare il governo Meloni per instaurare un “governo di blocco popolare”), con il suo rappresentante, Andrea De Marchis, che pochi giorni prima aveva giustificato le liste di proscrizione del Nuovo Partito Comunista definendole “informazione”, mentre il suo “compagno” Gabriele Rubini “Chef Rubio” aveva invitato a marchiare le case dei “sionisti”.Lo stesso Rubio poco più di un mese prima, sempre dal palco del CARC, aveva dichiarato: “I primi responsabili e obiettivi della resistenza continentale in sostegno del popolo palestinese sono i giornalisti e le giornaliste. Loro devono avere paura ad andare a lavoro ogni giorno, devono temere per l’incolumità dei loro figli e delle loro figlie”.
In quella stessa occasione, un’altra “compagna”, la palestinese “Maisa”, rappresentante dell’UDAP e attiva su Napoli, aveva affermato:“…il 7 ottobre per noi palestinesi è una giornata che noi rivendichiamo a testa alta, e lo diciamo tranquillamente e non abbiamo paura di dirlo”. Sabato in piazza c’era anche lei in prima fila.
Con tali premesse non ci si poteva aspettare nulla di differente. Una manifestazione che non era tra l’altro stata autorizzata da Piantedosi per ragioni di ordine pubblico e perché celebrante un massacro, ma che di fatto si è comunque svolta, seppur in forma statica. Poco prima dell’una era tra l’altro girata voce che la questura di Roma avesse autorizzato il presidio in loco, ma non il corteo. Una situazione ben poco chiara mentre nel frattempo ai caselli autostradali venivano fermati i pullman con manifestanti provenienti da varie parti d’Italia.
In primis è doveroso chiedersi per quale motivo ai manifestanti è stato permesso il presidio. Se vige un divieto, va fatto rispettare, altrimenti poi succede quel che si è puntualmente verificato, la manifestazione si è svolta ugualmente, seppur in forma di presidio e in più si sono anche verificati seri problemi di ordine pubblico nel momento in cui i manifestanti hanno cercato di far partire un corteo. Gli agenti presenti hanno subito per l’ennesima volta la violenta furia dei facinorosi ed erano anche in numero insufficiente, tanto che prima di poter caricare hanno dovuto attendere rinforzi.L’idea di chiudere la manifestazione all’interno di un perimetro poteva avere senso nel momento in cui si fosse poi intervenuto per disinnescare l’iniziativa, ma così non è stato.
Dal 7 ottobre in poi si è assistito a un progressivo incremento della retorica violenta, sia da parte dei gruppi di estrema sinistra, sia da parte di certi ambienti palestinesi e islamisti. L’estremismo, se lasciato diffondere, porta inevitabilmente alle azioni violente ed è esattamente ciò che si è verificato sabato a Roma.
In questi mesi si è passati dalle glorificazioni di Hamas, di terroristi, dalle affermazioni antisemite, alle liste di proscrizione, agli incitamenti all’”azione” nei confronti dei “nemici sionisti”. Siti web e pagine di social inneggianti all’odio avrebbero dovuto essere chiuse e invece sono ancora in rete e attive.La linea del Ministero a guida Piantedosi, fondata sul concetto del “lasciar sfogare”, del “lasciar esprimere le proprie opinioni” si è dimostrata fallimentare. La narrativa dell’odio, della violenza si è diffusa a macchia d’olio ed ha dato i suoi frutti.Se si fosse agito a tempo debito con la necessaria fermezza, forse non si sarebbe arrivati a questo punto, ma ormai è tardi. Certamente oggi quella piazza “propal” è stata palesemente smascherata, non che non se ne conoscesse la natura, tanto che la Comunità Palestinese di Roma e Lazio si è guardata bene dal manifestare al suo fianco oggi, ma è una magra consolazione.
@riproduzione riservata