Hamas non ha alcun interesse a concludere un accordo di cessate il fuoco

Hamas non ha alcun interesse a concludere un accordo di cessate il fuoco che non sia definitivo e non contempli il ritiro totale delle truppe israeliane da Gaza. Israele non ha la minima intenzione di interrompere la guerra senza aver degradato pesantemente le strutture politico-militari di Hamas a Gaza. I mediatori che tentano di arrivare ad un accordo tra le parti possono essere ottimisti fin che si vuole, i giornali possono riempire di inchiostro le loro pagine con articoli che fanno sembrare il cessate il fuoco vicino, sempre più vicino, ad un passo da realizzarsi, ma le logiche delle parti in guerra, che a rigor di analisi risultano stringenti e razionali, escludono qualsiasi possibilità che si riesca ad arrivare ad una tregua a breve termine.

Hamas non ha alcun interesse a perdere una parte del suo unico elemento di pressione, gli ostaggi, in cambio di una tregua limitata a qualche settimana, sarebbe una mossa strategicamente inutile. L’unico obiettivo che è rimasto ad Hamas è quello di evitare di essere distrutto; Hamas spera che con il passare del tempo la pressione internazionale ed interna spinga lo Stato Ebraico ad abbandonare il suo intento, forse spera che la deflagrazione di un conflitto a tutto campo con Hezbollah, sul fronte nord, obblighi Israele a mettere in secondo piano la guerra che si sta svolgendo a Gaza.

Solo se le azioni dell’esercito israeliano nella Striscia dovessero mettere Hamas in una situazione disperata, una situazione in cui anche solo sei/otto settimane di tregua potrebbero essergli utili a gestire quanto sta accadendo, allora un accordo di qualche tipo sarebbe possibile. La tattica di Hamas è dunque guidata da un’unica priorità: prendere tempo; ed in questo senso il suo modo di combattere nella Striscia si è già modificato. Hamas non combatte più come un esercito che difende le sue posizioni ma adesso agisce nel modo classico dei gruppi terroristi. I suoi miliziani non tentano più di fermare le brigate israeliane che penetrano nei vari centri urbani della Striscia, lasciano che i soldati con la stella di Davide penetrino il loro territorio e successivamente, con piccole squadre, colpiscono con attentati e trappole esplosive mortali. Questo modo di combattere non serve a vincere una guerra, ma certamente ne allunga i tempi.

Per contro, la maggioranza della classe politica israeliana non intende rinunciare all’obiettivo che si è data sin dai giorni successivi alle stragi del 7 ottobre: distruggere l’autorità di Hamas a Gaza. A questo proposito ci sono tre punti su cui è necessario fare chiarezza. Primo punto: il 7 ottobre 2023 si è verificato il più grande massacro di ebrei dopo la Seconda Guerra Mondiale, la potenza di questo fatto sembra non essere stata interiorizzata da larga parte della politica, della stampa e del mondo degli analisti occidentali; ma non è sfuggita alla grande maggioranza degli ebrei israeliani, i quali si ritrovano a combattere una battaglia esistenziale; come già scritto su queste pagine, gli uomini che hanno perpetrato le stragi del 7 ottobre non avrebbero nessuna remora a uccidere sette milioni e mezzo di ebrei, quindi per Israele la posta in gioco in questa guerra passa tra il vincere o l’essere annientati. Il secondo punto riguarda la natura di Hamas. Hamas non è mai cambiata in tutti questi anni, il suo unico obiettivo strategico è la distruzione di Israele e la cacciata o il massacro dei suoi abitanti.

Ad Hamas di gestire la Striscia di Gaza non importa nulla e non importa nulla del benessere dei palestinesi, per Hamas il popolo palestinese è disumanizzato nell’immagine di “un popolo di martiri”, martiri necessari ad alimentare la fiamma del suo fervore e della sua determinazione. Gli emendamenti che a suo tempo avevano ammorbidito un poco lo statuto di Hamas, la proposta ad Israele di un tregua decennale, lo stare in disparte mente la Jihad Islamica lanciava i suoi missili sugli insediamenti del Negev, il far credere che i suoi dirigenti in Qatar potessero rappresentare “l’ala dialogante” del Partito, tutto questo non era che inganno, tutto questo non era che la preparazione alle stragi del 7 ottobre.

E l’inganno ha funzionato, Israele ha probabilmente creduto che Hamas si stava concentrando sulla gestione della Striscia, così ha lasciato che i miliardi del Qatar affluissero nelle casse dell’Organizzazione, così ha allentato le restrizioni sui permessi di lavoro per gli abitanti della Striscia, così ha mantenuto un numero esiguo di militari a proteggere la Barriera di Separazione. Il risultato lo conosciamo. Terzo punto. “Non si può uccidere un’idea” è una frase bella e vera ed a pronunciarla si rischia di sembrare delle persone intelligenti. Molto più modestamente: non si può uccidere un’idea ma ci sono molte testimonianze storiche che dimostrano come gli si possa fare molta terra bruciata intorno.

Al mondo esistono ancora i nazisti ma non hanno certo più il potere distruttivo che avevano nel 1939; al mondo esistono ancora estremisti – di destra e di sinistra – che pensano di poter distruggere lo Stato con la lotta armata ma non hanno certo più la potenza di fuoco che avevano negli anni ’80 del secolo scorso; l’idea che anima lo Stato Islamico è ben viva e deve destare la nostra preoccupazione, ma il calendario europeo degli ultimi anni non è più scandito dalle sue stragi di massa. Allo stesso modo Hamas non potrà essere totalmente distrutta ma potrebbe essere ridotta ad una minaccia di gran lunga minore, residuale, rispetto a quella di oggi. Questo è l’obiettivo della classe politica israeliana, ed è un obiettivo ragionevolmente perseguibile.

Nella notte tra mercoledì e giovedì l’aeronautica militare di Gerusalemme ha lanciato un’ondata di attacchi  nel sud e nelle profondità del Libano.

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