In questi giorni abbiamo letto sui giornali a grande diffusione di diverse accuse rivolte ad Israele per il suo comportamento militare nella Striscia di Gaza. Viviamo in una società libera in cui chiunque può accusare qualsiasi altro di qualsiasi cosa. Per capire se queste accuse sono mosse a ragion veduta oppure no, l’unico riferimento è la lettura della legge – che è, appunto, “ciò che si legge” e non ciò che chiunque può dire. Si cerca qui di seguito di dare un superficiale sguardo a quali sono le regole del Diritto Internazionale Umanitario Consuetudinario, così come elencate e definite dallo Studio del Comitato Internazionale della Croce Rossa. “Superficiale sguardo”, appunto, poiché uno studio approfondito richiederebbe la stesura di un saggio e non di un articolo (e comunque chi scrive non è un giurista). Tuttavia uno sguardo alle norme, oltre a essere doveroso, può stimolare le nostre riflessioni sulla concreta applicazione di queste regole nella battaglia di Israele contro Hamas.
“L’Esercito di Difesa Israeliano chiede l’evacuazione di tutti i civili di Gaza City verso sud per la loro sicurezza e protezione”.Così iniziava il comunicato dell’IDF del 12 ottobre scorso.
La prima considerazione da fare è che questo comunicato si caratterizza come un avvertimento e non come un ordine. Israele non può ordinare alcunché agli abitanti di Gaza, chi a Gaza gestisce la situazione è Hamas. Se accettiamo questa premessa, la richiesta di Israele a spostarsi verso il sud di Gaza attraverso percorsi protetti indicati su una mappa pubblica si colloca nella regola numero 20 del Diritto Internazionale Umanitario: “Regola 20. Ciascuna delle parti in conflitto deve dare un preavviso effettivo degli attacchi che possono colpire la popolazione civile, a meno che le circostanze non lo consentano.” L’applicazione di questa regola deve rispondere al principio di effettività: chiedere agli abitanti di Milano di sgombrare l’intera città entro dieci minuti non è fattibile e non può essere considerato un avvertimento efficace. Nella fattispecie, se ammettiamo il fatto che tra 600.000 ed un milione di abitanti di Gaza sono riusciti a spostarsi nell’area a sud della Striscia prima che vi entrassero le truppe di terra israeliane, per criterio di buon senso forse possiamo considerare che l’avviso è stato efficace.
I civili devono essere sempre avvisati di un attacco imminente? No. La regola 20 dice: “A meno che le circostanze non lo consentano”. Quali sono queste circostanze? La risposta sta nel commento che il Comitato Internazionale della Croce Rossa fa alla regola n.20: “Come indica la regola, la prassi dello Stato ritiene che un avvertimento non sia necessario quando le circostanze non lo consentono, come nei casi in cui l’elemento sorpresa è essenziale per il successo di un’operazione o per la sicurezza delle forze attaccanti o di forze amiche. [16] La necessaria rapidità di risposta è un’altra considerazione che nella pratica è pertinente per determinare la fattibilità delle avvertenze.”
Dunque: “Si può non avvisare se l’elemento sorpresa è essenziale per il successo dell’operazione”. Proviamo a scendere nella concretezza del caso in questione: c’è una riunione dei vertici di Hamas in un edificio, a questo edificio si accede tramite un tunnel. Se avviso gli abitanti dell’edificio che sto per colpirlo i vertici di Hamas evacuano l’abitazione, si infilano nel tunnel e sbucano sotto un’altra struttura edilizia. Qui l’elemento sorpresa sembrerebbe entrare in gioco.
“Si può non avvisare se ciò mette in pericolo le forze attaccanti”. Esempio: se sto per attaccare un edificio e grido con un megafono ai civili all’interno di allontanarsi, questo fa scoprire al nemico il luogo in cui sono posizionato.
“Si può non avvisare se ciò mette in pericolo le forze amiche”. Qui si pone la domanda su cosa siano “le forze amiche”. Ad esempio: se io avviso che sto per colpire un obiettivo ed Hamas porta sull’obiettivo degli ostaggi per usarli come scudi umani, si è obbligati ad avvertire?
Più in generale si può porre il caso che Hamas, avvisata di uno strike, porti dei civili palestinesi a fare scudo all’obiettivo: in questo caso l’avvertimento potrebbe aumentare e non diminuire il numero delle vittime civili, vanificandone lo scopo.
La Regola n.20 ci dice poi che: “La necessaria rapidità di risposta è un’altra considerazione che nella pratica è pertinente per determinare la fattibilità delle avvertenze.”. In concreto: se dal cortile di una scuola Hamas sta preordinando delle rampe di lancio di missili che colpiranno il mio territorio ed io ho pochi minuti per fermare il lancio, devo avvertire? La rapidità di risposta qui sembra invece essere essenziale. Sulla “necessaria rapidità di risposta” applicata a Gaza, bisogna più in generale tenere conto che dalla Striscia continuano ad essere lanciati razzi sulla popolazione civile di Israele.
Il commento alla Regola 20 conclude poi precisando: “La prassi dello Stato indica che tutti gli obblighi relativi al principio di distinzione e alla condotta delle ostilità rimangono applicabili anche se i civili rimangono nella zona delle operazioni dopo che è stato emesso un avvertimento.”. Tradotto: se i civili rifiutano il tuo avvertimento questo non ti autorizza ad ammazzarli tutti e neppure a minacciarli in questo senso.
La proporzionalità della risposta militare è definita dalla Regola n.14 del Diritto Internazionale Umanitario Consuetudinario:
“Regola 14. È vietato lanciare un attacco che potrebbe causare perdite accidentali di vite civili, lesioni ai civili, danni a oggetti civili o una loro combinazione, che sarebbe eccessiva rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto.”
La lettura di questa regola ci dice inequivocabilmente una cosa: proporzionalità della risposta non vuol dire che devi fare un numero di morti e feriti più o meno uguale a quelli che ti ha inflitto il nemico. Dice che l’eventuale numero di vittime collaterali di un’azione militare non deve essere eccessivo in rapporto all’importanza dell’obiettivo. Qui di nuovo entra in gioco il criterio di buon senso: per colpire un check point non puoi ammazzare mille civili. Qualsiasi altra considerazione lascia tutte le questioni aperte: se ti stanno per sparare su Tel Aviv un missile, se hai la possibilità di colpire un capo militare di Hamas di primo piano, in che misura dobbiamo considerare eccessiva in termini di vittime collaterali la tua risposta militare?
Chiudiamo con gli ospedali. Gli ospedali sono sempre luoghi “intoccabili” militarmente. No. C’è anche qui un eccezione:
Regola 28. Le unità mediche destinate esclusivamente a scopi medici devono essere rispettate e protette in ogni circostanza. Pèrdono la loro protezione se vengono usati, al di fuori della loro funzione umanitaria, per commettere atti dannosi al nemico.
Anche in questo caso le domande si moltiplicano. Se uso un ospedale come deposito per i missili perdo la protezione?
L’art.21 della Convenzione di Ginevra ci suggerisce una possibile risposta:
“Non sarà considerato come atto dannoso il fatto che in questi ospedali siano curati dei militari feriti o malati o che vi si trovino armi portatili e munizioni ritirate a questi militari e non ancora consegnate al servizio competente.”
Per criterio di esclusione un deposito di missili nel seminterrato di un ospedale non rientra in questa casistica.
Ribadiamo al lettore che questa è tutto meno che un chiarimento esaustivo sulle regole del Diritto Umanitario Internazionale, ma, quanto meno, abbiamo sgombrato il campo da alcune facili semplificazioni: non bisogna sempre avvertire i civili, la proporzionalità non ha a che vedere con il numero totale delle vittime, gli ospedali non sono sempre intoccabili. Per il resto la parola ai giuristi su una materia non facile e che non può essere affidata alle grida di chicchessia riportate dai lanci di agenzia, dalle “dirette” dei quotidiani e dai social.
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