Guerra di Gaza: i problemi politici di Israele

La politica interna. C’è una frattura nel Gabinetto Israeliano sul problema degli ostaggi. La frattura è stata resa pubblica da più dichiarazioni degli esponenti politici israeliani e quindi non si tratta di “rumors”. Il Ministro del Governo israeliano Gadi Eizenkot ha apertamente dichiarato che il destino degli ostaggi deve avere la priorità rispetto agli altri obiettivi della guerra. In sintesi: una parte del mondo politico israeliano pensa che sia impossibile liberare gli ostaggi detenuti da Hamas con un’operazione di commandos – gli ostaggi sono stati divisi in diversi gruppi e sparpagliati sul territorio di Gaza; inoltre sono detenuti nel sottosuolo in luoghi pronti ad esplodere all’avvicinarsi dei soldati con la Stella di Davide – quindi, vista l’impossibilità di poter liberare gli ostaggi militarmente, Israele deve giungere ad una trattativa con Hamas per ottenerne il rilascio, anche se questo dovesse significare stabilire un cessate i fuoco. Solo successivamente alla liberazione degli ostaggi la guerra potrebbe riprendere. Per contro esiste la posizione di altri esponenti politici israeliani, tra cui il Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, per i quali la liberazione degli ostaggi potrà avvenire solo intensificando ulteriormente la pressione militare su Hamas.

Tra chi sostiene questa seconda posizione c’è chi mette in guardia sul fatto che una trattativa con Hamas sugli ostaggi potrebbe diventare una storia senza fine, della durata di anni, (come è avvenuto in passato per la liberazione del soldato Gilad Shalit), che avrebbe il risultato di portare alla riorganizzazione di Hamas, vanificando i sacrifici e le conquiste di questi tre mesi di combattimenti. Questa drammatica divisione coinvolge non solo i leader ma anche l’opinione pubblica israeliana, all’interno della quale la disperazione dei parenti degli ostaggi si fa sentire in modo sempre più forte, con momenti di comprensibile esasperazione.

La politica estera. Le diverse visioni con l’Amministrazione Biden.

Gli Stati Uniti premono perché questa guerra sfoci nella costituzione di uno Stato Palestinese che dovrebbe essere guidato da un’Autorità Nazionale Palestinese “rinnovata” (in cosa dovrebbe sostanziarsi questo “rinnovamento” non è al momento esplicitato). In questo senso gli USA hanno mediato una soluzione con l’Arabia Saudita che vedrebbe quest’ultima (“insieme ad altri Paesi arabi”) farsi carico della ricostruzione di Gaza a patto che la Striscia venga poi gestita dall’Autorità Palestinese; l’Arabia Saudita sarebbe anche disposta a normalizzare i propri rapporti con lo Stato Ebraico ma solo a patto che quest’ultimo apra un percorso che porti alla costituzione di uno Stato di Palestina. Le pressioni dell’Amministrazione americana sono sostenute dalla convinzione che non esiste una soluzione militare alla questione palestinese ma che solo la creazione di due Stati porterà ad una soluzione duratura in Palestina; in caso contrario le guerre non faranno altro che ripetersi nel tempo. Il Primo Ministro israeliano ha respinto il progetto americano-saudita dicendo di non vedere un ruolo dell’Autorità Palestinese nel futuro della regione.

Netanyahu nei mesi passati ha più volte motivato questa posizione spiegando che l’Autorità Palestinese non ha mai condannato le stragi di Hamas, trasferisce ad Hamas un terzo del suo budget, finanzia le famiglie dei terroristi uccisi ad arrestati ed incita costantemente alla rivolta contro Israele e dunque non dà ad Israele alcuna garanzia di sicurezza.I sondaggi valgono quello che valgono, ma – se ci fidiamo dell’autorevolezza di una Società come “Gallup” – neppure l’opinione pubblica israeliana è più d’accordo alla creazione di uno Stato palestinese: solo un israeliano su 4 si dichiara favorevole, (nel sondaggio del 2012 i favorevoli erano il 61%). Se questi risultati rispecchiano la realtà non si vede come un qualsiasi governo Israeliano eletto in futuro (in Israele infatti si vota) potrà essere fautore di una soluzione a due Stati. Per contro, sempre secondo Gallup, l’approvazione israeliana sull’operato dell’attuale leadership statunitense è salito all’81%. Il Presidente Biden ha immediatamente gettato acqua sul fuoco in merito al rifiuto israeliano della proposta saudita usando toni possibilisti e concilianti; una confronto a muso duro tra Israele e Stati Uniti non sembra essere all’orizzonte.

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