Lo scorso 27 luglio il Kuwait ha reso noto di aver giustiziato cinque prigionieri, tra cui un detenuto condannato per l’attentato ad una moschea sciita avvenuto il 26 giugno 2015 dove morirono 27 persone (oltre a 200 feriti), che venne rivendicato dall’organizzazione “Provincia di Najd” autodefinitasi all’epoca la branca saudita dell’Isis. La pubblica accusa del Kuwait come riferisce l’Associated Press (AP), ha reso noto che «I detenuti sono stati impiccati nella prigione centrale» mentre i pubblici ministeri hanno dichiarato che tra i cinque c’erano anche l’islamista kuwaitiano Abdulrahman Sabah Idan che quel giorno accompagno’ alla moschea “Jafar al-Sadiq” il terrorista saudita Fahd Suleiman Abdulmohsen Al Qaba’a noto anche come Abu Suleiman al-Muwahhid e altre tre persone condannate per omicidio oltre ad uno spacciatore già condannato dallo Sri Lanka. Uno degli assassini condannati era egiziano, un altro era kuwaitiano. Abdulrahman Sabah Idan anche noto come Saud, era un cosiddetto “Bidoon”, un gruppo composto in gran parte da discendenti di nomadi del deserto considerati apolidi dal governo kuwaitiano. Durante il suo processo, i pubblici ministeri lo hanno descritto mentre guidava l’attentatore suicida saudita alla moschea dell’Imam al-Sadiq a Kuwait City.
Un attentato organizzato per fomentare l’odio tra le popolazioni musulmane sunnite e sciite del Kuwait
L’attentato del 2015 avvenne durante la preghiera del venerdì di mezzogiorno all’interno della moschea, una delle più antiche del Kuwait per i musulmani sciiti. È stato il primo attacco terroristico in Kuwait in più di due decenni. L’attacco era stato pensato per fomentare l’odio tra le popolazioni musulmane sunnite e sciite del Kuwait ma invece venne condannato senza distinzioni e provoco’ un un senso di unione nazionale che non si vedeva dall’invasione del 1990 di Saddam Hussein nel piccolo paese produttore di petrolio. Gli appelli e la corte suprema del Kuwait hanno confermato la condanna a morte di Idan prima della sua esecuzione. Altri cinque sospetti sono stati condannati a morte in contumacia. Devono ancora essere catturati. A differenza dell’Arabia Saudita le esecuzioni sono relativamente rare in Kuwait, che ha messo a morte sette detenuti lo scorso novembre. Prima di allora, l’ultima esecuzione di massa era avvenuta nel 2017, quando il Kuwait ha giustiziato sette prigionieri, tra cui un membro della famiglia regnante .
Le esecuzioni dello scorso novembre, che hanno coinciso con una visita di un funzionario della Commissione europea, hanno suscitato la condanna dell’Unione europea e dei gruppi per i diritti umani, facendo deragliare le discussioni sull’esenzione dei viaggiatori kuwaitiani dall’obbligo di ottenere visti UE. Il blocco dei 27 membri e molti gruppi per i diritti vedono la pena di morte come una forma di punizione crudele e insolita che dovrebbe essere abolita. L’Unione Europea in merito alle ultime esecuzioni in una nota ha affermato: « L’Unione europea si oppone fermamente alla pena di morte in ogni momento e in ogni circostanza”, ha affermato il blocco in una nota. “È una punizione disumana, che si è dimostrata inefficace come deterrente al crimine e rappresenta una negazione del diritto fondamentale alla vita e alla dignità umana».
Esecuzioni in aumento nel Golfo Persico
Il Kuwait e altre nazioni del Golfo sono note per eseguire esecuzioni per omicidio e crimini non violenti legati alla droga. L’Arabia Saudita ha giustiziato 61 persone nella prima metà di quest’anno, secondo l’Organizzazione saudita europea per i diritti umani, e 196 persone nel 2022, di cui 81 in un giorno . Devin Kenney, ricercatore di Amnesty International, che si oppone alla pena di morte in tutto il mondo, ha affermato alla Associated Press che il numero di esecuzioni nel Golfo è in aumento e ha chiesto che vengano interrotte. «Uccidere persone per aver ucciso persone non ha lo scopo di prevenire futuri omicidi o ridurre il numero di omicidi futuri» ha detto Kenney.
@riproduzione riservata