Gazprom, simbolo dell’industria energetica russa e fiore all’occhiello dell’economia nazionale, è ora alle prese con una delle crisi più gravi della sua storia. Secondo quanto dichiarato da Sergej Kuprijanov, responsabile della comunicazione del gruppo, a diversi media tra cui il Forbes, il colosso prevede di tagliare circa il 40% del personale della sede centrale a San Pietroburgo. Questo piano, confermato dallo stesso Kupriyanov, è stato avanzato dalla vicepresidente Elena Iljuchina in una lettera indirizzata all’Amministratore Delegato Aleksej Miller il 23 dicembre scorso.
Iljuchina ha proposto una drastica riduzione dei dipendenti amministrativi, passando da 4.100 a 2.500 unità. Nel suo documento, Iljuchina ha evidenziato la necessità di ottimizzare i costi, eliminare funzioni ridondanti e ridurre i tempi decisionali. Ha inoltre sottolineato che i costi salariali attuali del quartier generale ammontano a 50 miliardi di rubli annui (circa 490 milioni di euro) e che queste misure potrebbero liberare risorse per incentivare e sviluppare il personale chiave.
Le difficoltà di Gazprom affondano le radici in un contesto geopolitico ed economico complesso. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, le sanzioni internazionali hanno colpito duramente il gruppo, costringendo Mosca a rinunciare a mercati chiave come quello europeo. Stando a quanto riportato da Vedomosti, l’interruzione del transito del gas attraverso l’Ucraina, avvenuta il 1° gennaio scorso, rappresenta una perdita significativa per il gruppo, stimata in circa 5 miliardi di euro all’anno, equivalenti al 6% del suo fatturato. A peggiorare la situazione, le esportazioni verso l’Europa sono crollate dell’80% rispetto al 2021, lasciando il Turkish Stream come unico gasdotto operativo verso il Vecchio Continente.
Nel 2023, Gazprom ha registrato una perdita netta di quasi 7 miliardi di dollari, la prima dal 1999. Gli effetti combinati delle sanzioni occidentali, della perdita del mercato europeo e delle crescenti difficoltà interne hanno spinto l’azienda a misure drastiche. Inoltre, l’imposizione di nuove tasse sulla produzione e l’aumento delle tariffe domestiche hanno aggravato il peso economico.
Le ultime e recenti sanzioni, introdotte da Stati Uniti e Regno Unito, includono misure restrittive contro la sussidiaria petrolifera Gazprom Neft e altre grandi aziende energetiche russe. Questi provvedimenti mirano a limitare ulteriormente l’accesso della Russia ai mercati globali, obbligandola a trovare soluzioni alternative per esportare petrolio e gas. Una possibile soluzione sembra essere l’incremento dell’impiego delle cosiddette ‘flotte fantasma’, un tema che abbiamo già trattato in precedenza. Si tratta di petroliere non tracciabili, utilizzate strategicamente per aggirare le sanzioni internazionali. Questo fenomeno, sebbene garantisca una continuità delle esportazioni, potrebbe comportare gravi rischi, tra cui un aumento degli incidenti ambientali dovuti a standard di sicurezza spesso inferiori e una crescita del commercio illegale di energia.
Le notizie sui licenziamenti hanno suscitato ampio dibattito in Russia. Secondo quanto riportato da 47news.ru, il piano di ristrutturazione include un audit dettagliato da completare entro il 15 febbraio 2025, con l’obiettivo di ridurre ulteriormente i costi e migliorare l’efficienza. Tuttavia, le filiali di Gazprom, già quasi interamente occupate, non offrono molte opportunità di ricollocamento per i dipendenti colpiti dal piano.
Sullo sfondo, l’Unione Europea ha ribadito l’intenzione di eliminare completamente il gas russo entro il 2027, mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno intensificato le sanzioni, includendo anche la sussidiaria petrolifera Gazprom Neft. Questo quadro rende incerto il futuro dell’azienda, che già nel 2024 ha prodotto solo 32 miliardi di metri cubi di gas, un livello vicino a quello degli anni Settanta.
Parallela alla crisi del colosso energetico, la Russia sta affrontando un altro fronte delicato: il sistema bancario. Dopo che i depositi al dettaglio sono cresciuti del 30% nel 2024 grazie a tassi di interesse fino al 30%, alimentando timori di una possibile bolla finanziaria, la Banca Centrale russa ha rassicurato i cittadini, definendo “assurda” l’ipotesi di un congelamento dei conti. Questa affermazione arriva in un contesto di sfiducia storica, alimentata dai ricordi delle crisi finanziarie del 1991 e del 1998.
La crisi di Gazprom riflette le conseguenze di scelte geopolitiche e di mercato a lungo termine. L’interruzione dei flussi di gas verso l’Europa non è solo il risultato di sanzioni e contrasti politici, ma anche di una strategia russa che ha sottovalutato la rapidità con cui l’Occidente avrebbe cercato alternative energetiche. Al contempo, l’aumento dell’uso delle flotte fantasma evidenzia i rischi di un commercio energetico sempre più opaco. La mancanza di regolamentazione e controllo potrebbe non solo aggravare i problemi ambientali, ma anche minare ulteriormente la reputazione internazionale della Russia.
Il futuro di Gazprom dipenderà dalla capacità di diversificare i mercati e adattarsi a un contesto globale ostile. Tuttavia, senza riforme strutturali significative e un cambio di rotta nelle relazioni internazionali, il colosso rischia di rimanere schiacciato dal peso delle proprie contraddizioni interne e delle pressioni esterne.