La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardante la Guerra di Gaza è passata con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti. Il testo della risoluzione: “Domanda un immediato cessate il fuoco per il mese di Ramadan e domanda anche l’immediato ed incondizionato rilascio di tutti gli ostaggi”. Il testo in sé non aggiunge nulla di nuovo al quadro politico per come già si è delineato in questi mesi – la formula: “cessate il fuoco e scambio di ostaggi” rimane intatta – ma serve certamente come mossa propagandistica, visto che la stampa internazionale titola oggi: “L’ONU chiede il cessate il fuoco”, dimenticando di aggiungere che, appunto, l’ONU chiede anche il rilascio incondizionato degli ostaggi.
Costruita in questo modo la notizia risulta fuorviante, vi appare soltanto il fatto che il mondo sta chiedendo ad Israele di fermare la guerra. Nel testo della risoluzione, ancora una volta, manca la condanna di Hamas per le stragi del 7 ottobre. Ricordiamo che l’ONU fin qui non ha mai condannato Hamas. Chi scrive ha notato che nella risoluzione Israele ed Hamas (peraltro mai citati per nome nel testo) vengono definiti: “le parti”, mettendo sullo stesso piano una democrazia moderna – in cui si vota regolarmente, vince la coalizione che ha preso più suffragi mentre i partiti sconfitti esercitano una dura opposizione – ed una organizzazione terroristica che ha fatto delle stragi di civili la sua pratica costante fin dalla sua nascita. Curioso come la risoluzione domandi una “tregua per il Ramadan”, che è ormai a metà del suo percorso temporale ed alla cui conclusione mancano 15 giorni. Di difficile comprensione anche il collegamento tra un cessate il fuoco ed il Ramadan, visto che – nel divenire storico – i Paesi islamici hanno combattuto diverse guerre durante questo periodo: la Guerra del Kippur contro Israele nel 1973 fu scatenata da Egitto e Siria nel mese di Ramadan.
IL RILASCIO DEGLI OSTAGGI: UN POSSIBILE SCENARIO.
Hamas ha “festeggiato” l’approvazione della risoluzione ONU lanciando tre missili verso il sud di Israele (non accadeva da tempo) e bocciando ancora una volta l’ennesima proposta di cessate il fuoco dei mediatori internazionali (Egitto, Qatar, Stati Uniti).
A fine novembre 2023 c’è stato l’unico cessate il fuoco con relativo scambio di alcuni ostaggi in mano ad Hamas. Probabilmente l’invasione del nord di Gaza da parte dell’Esercito Israeliano era stata di una rapidità che Hamas non aveva previsto e Hamas ha quindi accettato lo scambio perché questo gli ha permesso di trasferire le sue risorse più preziose, i dirigenti, dal nord di Gaza verso il centro ed il sud della Striscia. A questo proposito ricordiamo che Hamas aveva posto come criterio essenziale per la tregua che gli Israeliani non facessero volare droni sulla Striscia. Trasferiti i suo dirigenti verso il sud di Gaza (o al di fuori della Striscia), Hamas non ha ora alcun interesse al rilascio degli ostaggi.
Le trattative servono ad Hamas solo per prendere tempo, l’organizzazione vive nella speranza che la pressione internazionale, e in particolare quella degli Stati Uniti, blocchino l’attacco di Israele verso la città ed il valico di Rafah. Il calcolo di Hamas ha una sua razionalità: diverse volte in passato gli Stati Uniti hanno fermato Israele quando, nel corso delle varie guerre o azioni di guerra, stava prendendo “troppo” (diciamo così) il sopravvento, anche perché gli Stati Uniti non hanno piacere di entrare in aperto conflitto diplomatico con i Paesi arabi alleati. Questa volta però il tentativo di bloccare Israele potrebbe risultare vano, come ha detto l’ex Segretario di Stato americano Mike Pompeo: nessun pompiere si accontenterebbe di spegnere un incendio all’80%. Dalla città di Rafah lasciata intatta, anche in virtù del contrabbando con il confinante Egitto, Hamas potrebbe ricostruirsi e ritornare forte; per questo Israele non può distruggere i tunnel ed i battaglioni di Hamas “all’80%”. Se queste premesse sono valide allora si può immaginare che Hamas accetterà di trattare sugli ostaggi soltanto nel momento in cui Israele inizierà l’attacco su Rafah; a quel punto – persa ogni speranza di veder bloccato Israele – trattare gli permetterà di guadagnare un ulteriore margine di tempo.
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