Le guerre di Gaza si ripetono con ritmo costante ogni 2/4 anni. Citiamo le più importanti con i nomi in codice delle operazioni israeliane di ritorsione: “Operazione Piombo Fuso” (2008-2009); “Operazione Pilastro di Difesa” (2012); “Operazione Margine Protettivo” (2014). A queste operazioni maggiori dobbiamo aggiungere gli scontri “minori” Gaza-Israele del 2018, 2019, 2022, maggio 2023.Il meccanismo di questi conflitti si ripete con una meccanica sempre uguale, della quale Hamas è regista cosciente: dopo innumerevoli aggressioni – tipicamente lanci a casaccio di migliaia di razzi sul territorio israeliano – Israele risponde con interventi aerei e di terra. Siccome Hamas è il gruppo leader nel mondo nell’utilizzo della popolazione che gli è soggetta – o alleata – come scudo umano, la reazione israeliana, che interviene su un territorio urbano ad altissima densità, inevitabilmente produce vittime civili.
A questo punto una buona parte della leadership, dei media e dell’opinione pubblica mondiale si leva gridando: “Israeliani criminali! Popolo palestinese vittima innocente!”. Chi segue le vicende arabo-israeliane sa che questa coazione a ripetere si riproduce sempre uguale da circa 15 anni. La regia di Hamas ha avuto un indubbio successo nel costruire ed alimentare nel corso del tempo questa narrazione; esemplificativa di questa strategia è la dichiarazione di un funzionario di Hamas di alto livello, Ghazi Hamad: “Siamo chiamati una nazione di martiri e siamo orgogliosi di sacrificare martiri”.
In questo senso va l’interessante analisi che John Spencer ha pubblicato su “Modern War Institute”, la rivista dell’Accademia Militare di West Point (la rivista precisa che l’opinione di Spencer è a titolo personale). Scrive John Spencer: “Quasi tutti i tunnel di Hamas sono costruiti in siti civili e protetti in aree urbane densamente popolate. Gran parte delle infrastrutture che forniscono l’accesso ai tunnel si trovano in siti protetti (nota.: scuole, condomini, ospedali, siti delle Nazioni Unite). Ciò complica la discriminazione tra obiettivi militari e luoghi civili – se non la rende del tutto impossibile – perché Hamas non ha siti militari separati da quelli civili.
La strategia di Hamas non è nemmeno quella di mantenere il terreno e sconfiggere una forza attaccante. La sua strategia è quella di creare il tempo affinché la pressione internazionale su Israele aumenti ed interrompa le sue operazioni militari.”. Questa analisi potrebbe spiegare perché Hamas in queste settimane stia trattando con i mediatori del cessate il fuoco come se stesse vincendo la Guerra del 7 Ottobre e non come invece, nei fatti, la stia perdendo.
La rete dei tunnel sotto l’abitato di Gaza è ancora tutta da definire. Molto probabilmente le stime sul numero di pozzi di accesso al sistema sotterraneo di Hamas era sottostimato ed andrà rivisto. Trovare gli accessi è un’operazione da mal di testa. Un esempio: il tunnel “di lusso” trovato sotto la sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNRWA) – dalla quale Hamas prendeva l’elettricità in derivazione – ed in cui era collocata la sede computerizzata di comando e controllo di Hamas, non è stato trovato subito dagli israeliani. Tsahal aveva già occupato quell’area, l’aveva già setacciata e se ne era ritirata; successivamente, e solo sulla scorta delle informazioni di alcuni miliziani presi prigionieri, le truppe israeliane sono tornate in zona e lo hanno scoperto.
Hamas ha costruito un’immensa ragnatela militare che si estende sotto una zona urbana ad altissima densità e la sua strategia politica dei tunnel è mirata: smantellare Hamas significa smantellare i tunnel, ma smantellare i tunnel necessariamente significa conquistare l’intero territorio posto in superficie; quindi non si può smantellare Hamas senza colpire i 2 milioni e 200mila abitanti di Gaza, i quali – lo vogliano o no – proteggono la rete del terrore (la Striscia di Gaza ha una densità di circa 6.000 abitanti per chilometro quadrato). Tutto questo Hamas lo ha chiarissimo. Mai nella storia militare qualcuno si era trovato ad affrontare una tale sfida. C’è chi condanna Hamas e le sue stragi del 7 ottobre ed allo stesso tempo dice che “la reazione di Israele e sproporzionata”; si fa notare che per definire una sproporzione serve un metro di misura, che nel caso della Guerra dei tunnel a Gaza non abbiamo. L’unico riferimento possibile è la guerra nei tunnel di Cu Chi, in Vietnam, che per l’estensione dei tunnel stessi e l’ambiente sotto i quali erano costruiti (la giungla), è imparagonabile rispetto a ciò che Hamas ha costruito a Gaza.
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