Gisèle Pélicot drogata dal marito e fatta stuprare per anni

Con la complicità del marito, che la sedava con farmaci di uso comune: le violenze sono durate dieci anni, il processo inizia oggi

Dominique Pélicot

Si svolge il processo nel sud della Francia, contro 51 uomini accusati di aver stuprato Gisèle Pélicot. Tra gli imputati c’è l’ormai ex marito Dominique Pélicot che per dieci anni ha reso incosciente la moglie sedandola con farmaci. L’uomo ha consentito a decine di uomini, contattati su Internet, di entrare in casa per abusare di lei, mettendo in piedi un vero e proprio circolo di stupratori nel villaggio di Mazan.

Il caso ha avuto molta risonanza in Francia, e anche il processo molto probabilmente attirerà grandi attenzioni.

L’inchiesta su Dominique Pélicot è iniziata a seguito di un’altra indagine nel settembre del 2020 quando l’uomo fermato dalla polizia aveva filmato con una piccola telecamera, sotto la gonna di alcune donne al supermercato locale. La polizia a quel punto era entrata nel suo appartamento e gli aveva sequestrato telefono, computer e vari hard disk. A causa del materiale trovato, l’uomo era stato arrestato, di nuovo, nel novembre del 2020.

Un tranquillo uomo perbene

Dopo questo secondo arresto, la moglie di Dominique Pélicot era stata chiamata al commissariato. Al poliziotto che le chiedeva di parlare del marito, lei lo aveva descritto come una brava persona. Cinquant’anni insieme, tre figli, si stavano godendo la pensione. La donna Gisèle Pélicot, era a conoscenza dell’arresto per l’episodio del supermercato, ma aveva anche detto di aver perdonato il marito. Purtroppo non avrebbe mai potuto immaginare l’orrore a cui il marito l’aveva sottoposta per circa un decennio. Infatti mentre descriveva il marito come «un bravo ragazzo» e «un uomo premuroso» un agente le ha messo davanti una prima foto che la ritraeva nella sua camera da letto con un uomo che lei non conosceva e poi una seconda foto in cui la stava stuprando.

In quel momento la polizia le raccontò cosa le era successo e le disse di essere in possesso di video e fotografie degli stupri che il marito aveva fatto e poi aveva catalogato sul suo computer. La donna ha detto di essersi sentita «disgustata» e di non essersi capacitata come questo fosse potuto accadere dato che «avevamo tutto quello che ci serviva per essere felici».

Nel telefono e nel computer di Dominique Pélicot la polizia aveva innanzitutto trovato migliaia di scambi avvenuti su un sito per chat gratuite, Coco.fr, e su una specifica chat room chiamata “A son insu”, “A sua insaputa”. In questa chat gli uomini parlavano di quelli che loro stessi avevano definito dei rapporti sessuali, ma che in realtà erano degli stupri: rapporti sessuali avvenuti con le loro partner a loro insaputa. Nel 2024, dopo un’indagine durata 18 mesi che si era estesa in tutta Europa, il sito è stato chiuso e il suo proprietario arrestato.

Dominique Pélicot e la sua rete di stupratori

Attraverso la lettura di questa chat la polizia aveva scoperto che dal luglio del 2011 e fino all’inizio delle indagini, dunque per circa dieci anni, Dominique P. aveva somministrato regolarmente alla moglie, durante i pasti e nel cibo, diverse compresse di un farmaco che in Italia è venduto come Tavor, una benzodiazepina utilizzata per trattare l’ansia e l’insonnia.

Poi aveva fatto entrare in casa gli uomini della chat, con cui aveva preso accordi in precedenza, consentendo loro di stuprare la moglie priva di sensi.

A quel punto, gli uomini invitati ad abusare di sua moglie dovevano sottoporsi ogni volta a una serie di precauzioni come parcheggiare l’auto a poche centinaia di metri, evitare profumi o essenze e non fumare, spogliarsi in cucina per non dimenticare i vestiti in camera da letto, e lavarsi le mani con acqua calda affinché nulla interrompesse lo stato di incoscienza della moglie. Pélicot non chiedeva soldi. Ciò che voleva era dare le sue istruzioni, osservare gli stupri a cui lui stesso avrebbe potuto partecipare e filmarli.

Le violenze e i video del marito

Lui filmava tutto. Su una chiavetta USB gli investigatori hanno trovato una cartella chiamata “ABUS”, “abuso”. Conteneva centinaia di video catalogati per data, nome dello stupratore per come compariva nella chat e numero di stupro. I file presenti in questa cartella erano 128 con 20.000 foto e stupri che da lì risultano essere stati commessi sulla donna sono 92. L’elenco conteneva i nomi di 83 stupratori. La polizia, durante i due anni di successive indagini, ne ha identificati 51, poi arrestati.

Gli imputati hanno tra i 30 e i 74 anni, alcuni sono accusati di un solo stupro, altri di un massimo di sei. Abitano non lontano dalla casa dove vivevano la donna e Dominique Pélicot. Sono pompieri, militari, guardie carcerarie, infermieri o giornalisti. Altri sono camionisti o lavorano in azienda. Alcuni sono precari e altri sono attualmente in carcere per reati legati alla violenza di genere o hanno dei precedenti legati alla violenza di genere. Alcuni hanno accuse di ulteriori reati: la polizia aveva trovato una grande quantità di immagini legate allo sfruttamento minorile nei loro computer.

Dopo l’arresto, l’uomo dice di volersi prendere «le sue responsabilità». Si è sempre dichiarato colpevole, spiega il suo avvocato Béatrice Zavarro, aggiungendo di sperare che il processo permetta di capire «come tutti questi uomini di provenienze, culture, con professioni diverse si siano ritrovati in questa stanza a fare tutti la stessa cosa».

La freddezza emotiva di Dominique Pélicot

Secondo il primo psichiatra che ha sottoposto Dominique a una perizia, l’uomo non rispetta i limiti dell’intimità altrui e manca di empatia. Il secondo esperto che ha avuto a che fare con Dominique ha scritto che l’uomo ha un’incapacità di giudicare le situazioni mettendosi al posto degli altri, una freddezza emotiva e la capacità di reificare l’altro. Il suo livello di pericolosità è alto. Rischia fino a 20 anni di prigione.

Altri imputati hanno invece negato le accuse di stupro sostenendo di aver avuto il permesso del marito e di aver pensato che questo fosse sufficiente, o dicendo di aver creduto che la vittima avesse accettato di essere resa incosciente. Diversi imputati si sono giustificati dicendo che non erano coscienti di star compiendo un atto di violenza perché il marito avrebbe detto loro che lei aveva acconsentito a essere drogata e abusata.

In aula erano presenti il marito e tutti gli altri uomini imputati, che hanno dai 26 ai 74 anni. La maggior parte di loro indossava una mascherina chirurgica per coprire parte del volto. Durante il processo, quando uno degli avvocati ha suggerito che gli imputati fossero stati «manipolati, sopraffatti dal piano criminale» di Dominique Pélicot, Gisèle Pélicot ha risposto che tutti gli uomini «sapevano esattamente cosa stavano facendo e in che condizioni ero». Le persone che hanno assistito alla testimonianza l’hanno descritta come calma e composta ed estremamente lucida. Quando ha parlato degli stupri subiti ha detto di essere stata trattata «come un sacco della spazzatura, una bambola di pezza».

L’avvocato della donna abusata, Antoine Camus, ha detto che «se questa è la concezione del consenso in materia sessuale nel 2024, allora abbiamo molto, molto, molto lavoro da fare». Ha anche dichiarato che la sua assistita intende affrontare in aula gli uomini che l’hanno stuprata: «È decisa ad affrontare il loro sguardo, a cominciare da quello dell’ex marito, con cui ha vissuto per cinquant’anni, ma di cui ha scoperto, a 68 anni, di non sapere nulla».

Uniti contro la violenza sulle donne

Al suo fianco, come parti civili, ci saranno anche i due figli e la figlia: quest’ultima, con lo pseudonimo “Caroline Darian”, nel 2022 ha pubblicato un libro intitolato Et j’ai cessé de t’appeler Papa (E ho smesso di chiamarti papà), in cui a partire dalla storia della madre e dalla sua si occupa del fenomeno della “sottomissione chimica” che consiste nel drogare una persona a sua insaputa per abusarne, senza che lei possa reagire e talvolta nemmeno rendersene conto.

Nel libro ringrazia le tre donne che hanno denunciato suo padre mentre le filmava al supermercato. Se di loro le violenze avrebbero potuto continuare per altri anni ancora. A modo loro, hanno salvato la madre.

La figlia di Gisèle Pélicot ha anche lanciato la campagna #MendorsPas (Non mi sedare) sullo stesso tema, spiegando che quello dell’uso di «farmaci come un’arma» è un fenomeno sconosciuto, sicuramente ancora sottovalutato e che non si limita alla cosiddetta “droga dello stupro” e a contesti come bar e discoteche.

Farmaci per abusare delle vittime

“Caroline Darian”, figlia della coppia, ha raccontato come la loro sembrasse una normale vita familiare fino all’arresto del padre. Nonostante Dominique fosse visto come un uomo affettuoso e presente, però, dietro quest’apparenza si celava una verità orribile. Caroline aveva notato i segni di stress e affaticamento della madre, senza comprendere il motivo. Ignara della manipolazione, Gisèle era stata una vittima di abusi sistematici.

Ora “Caroline” cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sottolineando che le sostanze utilizzate per sedare le persone, per poi abusarne, sono principalmente farmaci di uso comune. Sonniferi, sedativi, ansiolitici o antistaminici, nella maggior parte dei casi individuati nell’ultima indagine dell’ANSM, vengono usati da persone conosciute come amici, colleghi ma soprattutto familiari, quindi all’interno dell’ambiente domestico.

Le vittime sono persone spesso particolarmente vulnerabili o già all’interno di una dinamica di abuso.

«Come per le altre situazioni di violenza domestica il timore di ripercussioni sociali e familiari impedisce alle vittime di parlare o di agire. E nel caso della sottomissione chimica, non avere chiari ricordi dell’aggressione e non riconoscerne i sintomi rende difficile riconoscersi anche come vittime», dice Darian.

Il caso di Mazan rappresenta un chiaro esempio delle sfide che la società deve affrontare nella lotta contro la violenza domestica e il traffico di esseri umani. Si evidenzia l’importanza di sostenere e proteggere le vittime, spesso intrappolate in situazioni di sfruttamento e manipolazione. Con il processo in corso, l’attenzione rimane alta sulla vicenda per garantire giustizia a Gisèle e per prevenire simili atrocità in futuro.