La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione
L’Italia è una Repubblica fondata su lavoro…
Così recita l’articolo 37 della Costituzione Italiana del 1948. Per la prima volta, ci si illuse in una parità di diritti tra uomo e donna in ambito lavorativo, con particolare attenzione alla retribuzione. In realtà, basta leggere il seguito di questo primo comma, per rendersi conto del piccolo abbaglio collettivo. Il lavoro femminile deve sì essere retribuito parimenti a quello maschile, ma deve comunque conciliarsi con il ruolo femminile all’interno della famiglia, come moglie e madre.
Siamo angeli del focolare?
Donne e lavoro, fuori dal coro (o forse, senza rima, fuori dal mercato)
Oggi, A.D. 2024, in che posizione si colloca la donna nel mondo del lavoro? Non bene.
Secondo l’Eurostat, nel 2022, il tasso di occupazione femminile (20-64 anni) in Italia risultava essere il più basso tra gli Stati dell’Unione europea, con circa 14 punti percentuali in meno rispetto alla media UE (55% vs. 69,3%). Tali dati dimostrano come, in Italia, ci sia una scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro: 9,5 milioni sono occupate a fronte dei circa 13 milioni di uomini.
Da questi dati poco confortanti emerge un’amara verità: una donna su cinque esce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Ciò a causa della difficoltà di conciliare esigenze della vita quotidiana con l’attività lavorativa.
La situazione della lavoratrice oggi non ha ancora raggiunto quella parità di trattamento, ideologicamente indicata nella nostra Costituzione. Ma oggi la storia cosa ci racconta? Che la donna ha sempre lavorato tantissimo. Lo ha fatto dall’inizio del mondo: in casa, non pagata, senza nessuna previdenza, senza nessuna tutela. Quello che a un certo punto è cambiato, per necessità o per scelta (?), è che il lavoro si è “spostato” fuori casa, pagato (male) quasi sempre da altri uomini.
Ma chi sono queste donne che, con il proprio duro lavoro e con le lotte, hanno consentito alcune vittorie importanti? Chi ha percorso questa strada in salita, fatta di pochi passi alla volta? Diciamo, oggi 1° maggio, grazie a queste donne ricordandone i sacrifici e le battaglie, spesso silenziose.
Dalla Costituzione in poi…
Erano gli anni 50 quando, da un Sud d’Italia poverissimo, schiere di uomini si sono spostati nelle grandi città del Nord per lavorare nelle fabbriche. Le donne rimaste sole (le cosiddette “vedove bianche”) si sono rimboccate le maniche, sostituendo gli uomini nei campi. È il caso delle raccoglitrici di olive della Calabria, piegate per ore a raccogliere i frutti caduti a terra, piedi scalzi e schiena ingobbita, a riempire sacchi da 50 chili poi trasportati ai magazzini del padrone. Poche lire, nessuna tutela. (E di altre situazioni simili l’Italia è piena).
E poi c’è stato il grande processo di industrializzazione. Le donne entrano nelle fabbriche: stesso lavoro dei maschi, -30% di retribuzione. Indicativa del momento è l’immagine in bianco e nero di una donna intervistata per una trasmissione televisiva del tempo mentre si trova al lavoro, occhi puntati sul macchinario, un rumore infernale in sottofondo. “Signora a cosa pensa mentre lavora?” chiede il giornalista. “Alle faccende che mi aspettano a casa”, la risposta.
E mentre il boom avanza, arrivano anche le segretarie, le centraliniste, le impiegate. È il terziario: otto ore e la possibilità di scegliere il part time, anche se la prima scelta è sempre la casa, la famiglia, i figli e il marito. Qualcosa cambia dopo il 1963, con la legge 66 del 9 febbraio.
La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. Un altro abbaglio? Forse… ma comunque un passo in avanti. Fino al 1975 con il nuovo diritto di famiglia che riconosce alla donna una condizione di completa parità con l’uomo all’interno della famiglia.
Un altro piccolo tassello per altre battaglie che, con questo nuovo Millennio, non si sono ancora fermate.
Concludendo
In questa giornata del Primo Maggio, avrei potuto ricordare le grandi Donne della storia italiana repubblicana: la scienziata premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini, l’astrofisica Margherita Hack, la pioniera dell’ecologismo, medico, scienziata, partigiana e politica Laura Conti e (perché no) la prima donna Presidente del Consiglio della Repubblica Giorgia Meloni (e scusate se molte non le ho citate per questioni di spazio). Grandi donne, davanti a cui ci inchiniamo.
Tuttavia, oggi, voglio ricordare tutte le donne: quelle del passato e quelle del presente. E quelle che ci saranno nel futuro. Tutte coloro che hanno lottato “in piazza” e quelle che lo hanno fatto semplicemente uscendo di casa, malpagate, poco tutelate ma comunque proiettate verso una condizione che le ha rese ogni giorno sempre più indipendenti.
Buon Primo Maggio a tutti!