Dinamiche iraniane in Italia tra propaganda di regime e opposizione frammentata

Le numerose manifestazioni contro il regime iraniano che avevano coinvolto diverse piazze europee ed italiane in nome di Mahsa Amini, la ragazza ventitreenne morta nel settembre del 2022 mentre era in stato di arresto per aver violato la legge sul velo, sembrano scomparse, a parte qualche tiepida e sporadica ripresa in alcune città italiane dove gruppi di oppositori iraniani sono ancora attivi.

Allo stesso tempo però il regime khomeinista procede con la propaganda un po’ in tutta Europa ed anche in Italia dove sono da poco stati pubblicati due libri su Qasem Soleimani, il generale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane ucciso il 3 gennaio del 2020 a Baghdad da un drone statunitense.

La figura di Qasem Soleimani per rilanciare la propaganda di regime

Il primo libro, pubblicato dal centro islamico sciita di Roma Imam Mahdi si intitola “Qasem Soleimani un combattente di Dio” mentre il secondo, pubblicato dalla casa editrice Passaggio al Bosco è intitolato “Coraggio e fede”, a cura di Hanieh Tarkian, coordinatrice del Master in lingua italiana di Studi Islamici organizzato dall’Istituto al-Mustafa, con sede centrale a Qom, Iran.

In entrambi i testi Soleimani viene presentato come un personaggio che va ben oltre il suo ruolo di militare, per trasformarsi in martire, protettore degli oppressi e difensore della libertà. Posizioni che non trovano però d’accordo gli oppositori del regime, sistematicamente perseguitati dalla sua macchina repressiva.

In questi testi viene anche descritta una tendenza di Soleimani per la spiritualità e la mistica, quasi a fondere materiale e spirituale; un tema da sempre caratteristico dell’Islam sciita.

Nella descrizione di “Coraggio e Fede”, il defunto generale viene presentato come: “una personalità che ha saputo unire mistica e politica, fede e pragmatismo, lucidità e coraggio, solidarietà e martirio”.

Nel libro edito dal Centro Imam Mahdi, “Qasem Soleimani un combattente di Dio” risulta invece di interesse la seconda parte, dove vengono inseriti messaggi e discorsi dedicati a Soleimani da parte degli Ayatollah Khamenei e Sistani, dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah e dai responsabili di Hamas.

I due testi non sono stati presentati solgime”.

Il MEK si è tra l’altro rivelato un partner anti-regime più problematico che utile per l’Occidente, non soltanto per l’ostilità nei confronti di quelle manifestazioni anti-regime che non erano da loro organizzate, ma anche per una serie di questioni che stanno mettendo in seria difficoltà l’organizzazione, tra cui la retata a fine giugno della polizia albanese nel quartier generale del MEK vicino Durazzo. Le autorità albanesi hanno sequestrato più di un centinaio di dispositivi informatici presumibilmente collegati ad attività politiche illecite. A tal proposito, il ministro dell’Interno albanese Bledar Çuçi ha reso noto che la polizia è intervenuta su ordinanza del tribunale in virtù di ragionevoli dubbi che alcuni membri del MEK fossero coinvamente nei centri islamici sciiti di Milano e Roma, cosa ovvia, ma anche ad un paio di iniziative organizzate dall’estrema destra extra-parlamentare, come il 5 maggio a Cesena assieme a Casapound nel caso di “Un combattente di Dio” e il 27 maggio a Lamezia Terme assieme a Identità e Tradizione e Gioventù Controcorrente nel caso di “Coraggio e Fede”.

Il 20 aprile, presso la libreria Celuc, a poche centinaia di metri dall’Università Cattolica di Milano, la rete studentesca Sturm und Drang ha invece organizzato una conferenza dal titolo “Iran in rivolta?”, alla quale hanno preso parte la già citata Hanieh Tarkian e il portavoce del centro Imam Mahdi, Marco Hussein Morelli, (giunto però soltanto verso la fine). L’evento è stato pubblicizzato anche dal sito del centro islamico Imam Mahdi.

E’ dunque possibile ipotizzare che la propaganda filo-regime fatichi a trovare sostegno nell’arena politica italiana mainstream e lo stia dunque cercando tra i movimenti extra-parlamentari e studenteschi.

I guai dell’opposizione

Intanto sul fronte dell’opposizione al regime di Teheran le cose non vanno benissimo. Come inizialmente sottolineato, le manifestazioni di piazza si sono progressivamente affievolite fino a diventare sporadiche. I manifestanti, tra cui molti studenti universitari iraniani, si sono esposti mettendo a rischio la propria incolumità e quella dei propri parenti in Iran, nella speranza di un sostegno internazionale che ha però vacillato e tra i grandi assenti vi è un’amministrazione Biden in vena di trattative con Teheran, come illustrato dal New York Post. In alcuni casi gli studenti venivano fotografati da uomini del regime in varie piazze europee e almeno in un paio di occasioni questi “fotografi” sono anche stati colti sul fatto.

Del resto, non vi è un’unica opposizione al regime, ma diverse espressioni che diffidano l’una dell’altra: monarchici, nazionalisti, sinistra eccetera e questo è un problema in quanto senza un’opposizione solida è difficile contrastare gli ayatollah.

A fine aprile ad esempio, la visita a Roma del principe Reza Ciro Pahlavi, figlio del deposto Shah, con tanto di invito a Porta a Porta di Bruno Vespa,  aveva scatenato la dura reazione dei militanti del MEK (i cosiddetti Mujahidin del Popolo) che avevano accusato il principe Pahlavi di non essere un paladino della libertà del popolo iraniano ed autodefinendosi “unica opposizione al reolti in attività politiche che violerebbero i termini dell’accordo che consente loro di rimanere in Albania.

L’analista dell’ISPI, Annalisa Perteghella, ha fornito una panoramica chiara sul MEK, evidenziandone i rischi di un sostegno incondizionato:” Sebbene nascano con un’ideologia marxista-islamista, e sebbene rimangano un movimento nei fatti molto più simile a una setta, a metà tra una formazione politica leninista e l’antica setta ismailita degli Assassini, oggi i MEK hanno una faccia pubblica che elogia i valori della laicità e della democrazia. La loro intenzione, dopo il rovesciamento del regime iraniano, è la creazione di un governo ad interim con a capo Maryam Rajavi – già nominata futura presidente dell’Iran – seguito da elezioni libere. Al di là della retorica però il modus operandi rimane profondamente autoritario: oltre al celibato forzato, i membri del gruppo non hanno accesso a giornali, radio o televisione, nessuno può criticare Rajavi. I membri vengono periodicamente sottoposti a sessioni di autocritica in cui vengono filmati mentre ammettono di avere tenuto comportamenti contrari alle leggi del gruppo; filmati che possono essere poi utilizzati contro di loro in un secondo momento. Organizzazioni quali Human Rights Watch hanno ampiamente documentato abusi dei diritti umani all’interno del gruppo”.

Non a caso è molto difficile tra gli oppositori del regime iraniano trovare chi vede il MEK di buon occhio, al di là dei membri stessi dell’organizzazione e neanche tutti, visto che sono numerosi i casi di fuoriusciti che hanno poi denunciato i soprusi messi in atto dall’organizzazione.

Ovviamente essere contrari a un sostegno al MEK non implica essere favorevoli al regime di Teheran, al contrario. Serve però un’opposizione affidabile ed unita quanto meno nei confronti di una transizione verso dinamiche pienamente democratiche, altrimenti si corre il rischio di sostituire un regime con un altro o di scatenare un caos in stile iracheno; tutte eventualità da scongiurare.

di Giovanni Giacalone @riproduzione riservata