Ancora una volta la diplomazia italiana, rappresentata in questo caso dall’ambasciatore Maurizio Massari, ha votato il 26 luglio scorso a favore di due Risoluzioni di riprovazione e condanna contro Israele in sede ONU e precisamente nel Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). Quanto alla Risoluzione E/2023/L.35 patrocinata da Cuba, Siria e Corea del Nord (sic!) l’accusa rivolta a Israele è quella di aver violato i diritti delle donne, di rappresentare un “grande ostacolo” per le donne palestinesi “per quanto riguarda il rispetto dei loro diritti e il loro progresso, l’autosufficienza e integrazione nello sviluppo della loro società”. L’Italia è stata tra i 37 stati a votare favorevolmente a questa risoluzione, insieme a grandi campioni della violazione dei diritti delle donne, come Afghanistan. Qatar e Libia. Una risoluzione e una condanna “selettiva” perché ancora una volta ha come unico bersaglio lo Stato ebraico, non il Pakistan, l’Iran, l’Afghanistan. Una condanna che risponde sempre alla stessa logica della demonizzazione e delegittimazione dello stato di Israele per isolarlo a livello internazionale.
Basti invece pensare che le donne arabe israeliane sono non solo privilegiate rispetto alle loro correligionarie del mondo arabo dove difficilmente godono di diritti definibili minimi ma in Israele le loro possibilità di studio e carriera sono ampiamente garantite. Bastino alcuni esempi: il dottor Marian Khatib è un chirurgo mammario arabo, unico in Israele che esegue sia la mastectomia che la chirurgia di ricostruzione per le donne con cancro al seno, nominata direttrice dell’Ichilov Breast Sourasky Medical Center di Tel Aviv, l’avvocato Mae al-Hajuj, residente di Rahat che divenne il primo avvocato beduino; la dott.ssa Rania Alkhateeb-Fahum, direttrice dell’unità di chirurgia plastica dell’ospedale “Bnei Zion” di Haifa; la professoressa Mona Khoury-Kasabri, vicepresidente dell’Università Ebraica per la Strategia e la Diversità; il maggiore Ela Wawya, “Capitano Ela”, vice capo del dipartimento delle comunicazioni arabe nella brigata del portavoce dell’IDF e la donna musulmana più anziana dell’IDF; Lorina Khateeb della comunità drusa, project manager che negli ultimi anni ha gestito le pagine dei social media presso il Ministero degli Affari Esteri israeliano con milioni di follower dal mondo arabo; Hala Mahli, campionessa israeliana di karate, rappresenta il paese nelle competizioni internazionali e ha svolto il servizio nazionale nella polizia israeliana.
Come ribadito dal giurista Emanuele Calò, direttore dell’Osservatorio Enzo Sereni, associazione che vede il coinvolgimento di accademici ed esperti di diritto e che ha come sua prima finalità quella di contrastare il fenomeno dell’antisemitismo “La votazione della Commissione dell’ONU ovviamente non scalfisce la situazione di fatto in Israele, dove la parità di diritti, di opportunità e di carriere è testimoniata, fra l’altro, dal fatto che la Presidente della Suprema Corte di Giustizia è una donna”.
Secondo UN Watch, organizzazione non governativa con sede a Ginevra che per prima ha denunciato la gravità del voto espresso “La risoluzione chiude un occhio su come i diritti delle donne palestinesi siano influenzati dalle loro stesse autorità di governo. Né fa alcuna critica o alcun riferimento al modo in cui le donne e le ragazze sono discriminate all’interno della società patriarcale palestinese. La sessione dell’ECOSOC del 2023 ha completamente ignorato i peggiori violatori dei diritti delle donne al mondo, rifiutandosi di approvare un’unica risoluzione sulla situazione delle donne in Afghanistan, Iran, Pakistan, Iran, Algeria, Ciad o Mali, che si collocano tra i 10 peggiori violatori dei diritti delle donne nel mondo. In un momento in cui lo stupro è usato come tattica di guerra in Libia, gli esperti delle Nazioni Unite hanno accusato i talebani in Afghanistan di ‘apartheid di genere’, la Nigeria ha 20 milioni di sopravvissute alle mutilazioni genitali femminili, le donne possono finire in prigione in Qatar per aver denunciato violenza sessuale, e le donne leader dello Zimbabwe sono soggette a violenze sessuali e bullismo motivati politicamente, è teatro dell’assurdo per questi regimi misogini individuare Israele – unico al mondo – come presunto violatore dei diritti delle donne”, ha aggiunto il rappresentante di Un Watch.
Non basta: l’Italia ha votato a favore anche della Risoluzione Ecosoc (stessa agenda item 16) E/2023/L34 patrocinata da Cuba (più volte votata in passato anche in altre sedi Un con un’ossessione senza precedenti) sulle ripercussioni economiche e sociali dell’”Occupazione israeliana dei Territori palestinesi” che, “deplorando e deplorando” ancora reitera la condanna dello Stato ebraico per tutta una serie di violazioni dei diritti della popolazione palestinese.
La Federazione delle Associazioni Italia-Israele ha espresso “stupore e delusione” per il voto favorevole dell’Italia, auspicando che “in futuro simili decisioni vengano meglio ponderate ed assunte con la necessaria, limpida obiettività che argomenti tanto delicati necessitano”. Il comunicato della Federazione aggiunge che questo voto italiano stupisce perché, riferendosi alla Risoluzione E/2023/l.35, nonostante i riferimenti globali della risoluzione alla violenza contro le donne, si sia scelto ancora una volta di colpire solo e soltanto il solito “capro espiatorio”, Israele.
Ci si domanda in effetti come si sia potuto ancora una volta arrivare ad avallare, anzi, a partecipare a condanne che nel loro “single out effect” assumono un amaro sapore antisemita, nonostante dichiarazioni roboanti di amicizia con Israele da parte di molti rappresentanti delle massime istituzioni italiane. Eppure, appunto, in questi mesi abbiamo creduto all’impegno dichiarato sul cd. cambio di rotta. E ci crediamo ancora. Del resto, a prescindere dai cambi di colore politico, il Governo Italiano, con l’adozione della definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA e della nuova strategia nazionale 2021-2030 per la prevenzione e la lotta contro tutte le forme di antisemitismo, dovrebbe con coerenza impegnarsi ad assicurare che l’espressione del proprio voto nelle sedi internazionali, ribadisca e difenda il carattere libero e democratico dello stato israeliano e rifugga dall’applicazione di odiosi doppi standards finalizzati a processare reiteratamente condannare lo Stato di Israele a prescindere. La delegittimazione dello Stato Ebraico, si sa bene, alimenta l’antisemitismo in tutto il mondo, offende e pregiudica la civiltà e il mondo libero. In un momento storico in cui occorre compattarsi nella difesa e nel sostegno alle democrazie, sotto attacco da tempo e avvelenate da una pericolosa propaganda dal mondo illiberale, questo voto non aiuta ed anzi, crea fratture e allarme. Un danno difficilmente recuperabile e sotto diversi evidenti profili. Vogliamo sperare e anzi, ci aspettiamo con forza che nelle prossime tornate di voto nelle grandi sedi internazionali il cambiamento di rotta arrivi e arrivi con fermezza e senza altre esitazioni.
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