La Russia presenta un nuovo atto d’accusa contro l’Occidente: 1174 pagine in cui denuncia revisionismo storico, glorificazione del nazismo e diffusione del neonazismo. Nel rapporto, pubblicato l’11 settembre dal Ministero degli Affari Esteri russo, si evidenzia come queste tendenze alimentino razzismo e xenofobia in Europa e nel mondo. Tuttavia, sorge spontanea una domanda: con quale autorità morale la Russia avanza queste critiche? Mentre punta il dito contro l’Occidente, le politiche interne ed estere del Cremlino riflettono problematiche simili, se non addirittura più gravi.
Non è la prima volta che Mosca si propone come garante della verità storica, rivendicando il ruolo di difensore contro la glorificazione del nazismo. Il rapporto afferma che “è in aumento la tendenza a glorificare collaboratori nazisti in diversi paesi occidentali”, dove si cerca di legittimare movimenti di estrema destra del passato. Tuttavia, chi osserva la situazione con occhio critico non può fare a meno di notare l’ipocrisia intrinseca di questo inquietante doppio standard. È oramai evidente che il governo di Vladimir Putin promuove una politica di repressione interna, propaganda e controllo dell’informazione, dove l’unica narrativa accettata è quella che glorifica la leadership russa e criminalizza ogni forma di opposizione.
Così, mentre accusa altri paesi di revisionismo storico, il Cremlino si arrampica sui vetri nel goffo tentativo di riscrivere la storia per poi declinarla opportunamente al presente. La guerra in Ucraina, etichettata come Special’naja voennaja operacija (operazione militare speciale) di denacifikacija (denazificazione), rappresenta un esempio evidente di come il governo russo manipoli la realtà per legittimare un’aggressione. Pur essendo Zelenskij soggetto a critiche, non si può negare che l’Ucraina rappresenti la vera vittima di questo conflitto, una realtà completamente trascurata dal rapporto il quale, ovviamente, dipinge Mosca come liberatrice dall’influenza nazista. Ironia della sorte, in Russia da anni proliferano razzismo ed estremismo di destra, una contraddizione che indebolisce la stessa narrativa del Cremlino.
Bande neonaziste come Slavjanskij Sojuz (Slavic Union) e Format 18, sebbene siano state dichiarate illegali dalle autorità e bandite, rimangono attive clandestinamente, formando altre frange, come la Slavjanskaja Sila (Slavic Force), che continuano a influenzare il movimento di estrema destra russo, perpetrando violenze contro minoranze etniche.
La domanda è inevitabile: come può un paese che non riesce a gestire il razzismo e a tenere sotto controllo gruppi neonazisti attivi in patria, accusare altre nazioni di promuovere tali ideologie? Il rapporto del Ministero degli Esteri russo si rivela paradossale, poiché punta il dito contro paesi come Ucraina, Lettonia e Polonia, mentre nelle città russe, come Mosca e San Pietroburgo, si verificano regolarmente attacchi razzisti, soprattutto contro i migranti dell’Asia centrale. Alla luce dei fatti, la predica di Mosca sembrerebbe provenire da un pulpito incrinato, dove la moralità è piegata alle esigenze di potere.
Questi episodi di violenza, denunciati da fonti come Radio Svoboda e The World, sono accompagnati da una risposta inadeguata da parte delle autorità. Le organizzazioni per i diritti umani segnalano una mancanza di volontà politica nel combattere seriamente questi crimini. Inoltre, l’attacco del 22 marzo 2024 ha scatenato un’ondata di aggressioni e discriminazioni, con numerosi casi di maltrattamenti, arresti arbitrari e detenzioni prolungate che hanno coinvolto migranti di origine centroasiatica.
La Russia è dunque incapace di cambiare una narrazione che è palesemente fallimentare. La capacità del Cremlino di sfruttare la propaganda e la disinformazione, che in passato si è dimostrata potente, appare ora notevolmente indebolita agli occhi della comunità globale. Il messaggio si ripete e, anziché attecchire, sembrerebbe diventare sempre meno credibile. Le accuse reiterate contro l’Ucraina e l’Occidente non riescono a nascondere la realtà di un’aggressione motivata dal desiderio di riaffermare il controllo regionale.
Il rapporto di 1175 pagine del Ministero degli Affari Esteri russo, pur elogiandone l’impegno, non è altro che l’ennesimo tentativo fallito di disinformazione. Da anni, la Russia utilizza la propaganda come una vera e propria arma di guerra, diffondendo menzogne progettate per destabilizzare i paesi limitrofi e indebolire la fiducia nelle democrazie occidentali. Nel documento si legge che “la distorsione della verità storica sta diventando sempre più uno strumento per alimentare la russofobia e giustificare la revisione dei risultati della Seconda Guerra Mondiale”. Questo messaggio, pur chiaro, appare ormai sbiadito: per il Cremlino, la verità non è rilevante, ciò che conta davvero è mantenere il controllo della narrazione.
La “dezinformacija” è ormai parte integrante del linguaggio politico moderno, ma la capacità russa di manipolare la realtà agli occhi dell’Occidente sembra vacillare. La narrativa che Mosca costruisce meticolosamente vorrebbe distrarre l’attenzione dalle proprie violazioni dei diritti umani e dalle aggressioni contro le norme internazionali. Tuttavia, questa costruzione non può sopravvivere a lungo di fronte ai fatti. In un mondo in cui la disinformazione può causare danni enormi, è cruciale smascherare le falsità e ristabilire la verità. E la verità, in questo caso, è innegabile: l’Ucraina è la vittima, non l’aggressore. Prima di puntare il dito contro il mondo, la Russia dovrebbe riflettere attentamente sulle proprie azioni.